Intervistiamo

Massimo Palanca: «Programmazione e giovani per tornare grandi»

La ricetta di O’Rey per vivere una nuova stagione di fasti: lavorare sodo e investire sul settore giovanile. Intervista al simbolo del calcio giallorosso
 
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Massimo Palanca è leggenda. Inutile girarci intorno. A renderlo tale non sono le 332 presenze o i 115 gol in maglia giallorossa, non sono nemmeno le prodezze da calcio d’angolo o le punizioni magistrali. Nulla di tutto questo.

Palanca è leggenda perché le sue giocate hanno unito intere generazioni, perché ha dato un senso profondo al calcio di provincia, perché ancora oggi le sue parole sono un faro, un approdo sicuro, il posto che chiamiamo casa. 

Puntonet lo ha intervistato, una chiacchierata attraverso i ricordi del passato con lo sguardo rivolto sempre al futuro. Ecco le sue risposte.

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Vito Chimenti e Massimo Palanca. Sulla carta una coppia eccezionale, nei fatti una sintonia mai sbocciata. Dopo aver appeso le scarpette al chiodo ha mai più visto o sentito Chimenti?

La sintonia tra me e Vito non è mai sbocciata perché lui non si è adattato allo spirito del Catanzaro nel senso che pensava di fare a Catanzaro ciò che faceva nel Palermo, cioè tirare i rigori e le punizioni. Ma nel Catanzaro c’era una gerarchia da rispettare. Tra noi è tornato tutto normale ma ci siamo rivisti poche volte.

 

Ci racconta dell’episodio accaduto tra lei e Vito Chimenti durante un Catanzaro-Perugia del 13 gennaio 1980?

Stavamo andando verso la porta del Perugia, due contro uno con la palla sui piedi di Vito, bastava un tocco verso di me e sarei arrivato in porta ma lui volle  fare tutto da solo perdendo palla e l’opportunità di segnare una rete. Dalla rabbia me ne andai dal campo (sbagliando) e solo l’intervento del dott. Martino e del DS Pietro Aggradi mi fece recedere (per fortuna Mazzone era squalificato altrimenti non so come sarebbe andata a finire!!!). Comunque, a fine gara, e soprattutto il martedì alla ripresa degli allenamenti, chiesi scusa a tutti e il solo Chimenti non le accettò e addirittura chiese a Mazzone di andarsene dal Catanzaro.

 

Tra i migliori partner d’attacco c’è sicuramente Renzo Rossi. Una sintonia esclusivamente tecnica o una vera e propria amicizia anche al di fuori dello spogliatoio?

Renzo per me è stata una spalla speciale. Insieme abbiamo fatto tanti gol e tante cose belle. Se oltre alla sintonia in campo c’è anche fuori, è una situazione ideale soprattutto fra compagni di reparto. Tra di noi c’era tutto questo.

 

Tra i difensori avversari che i tifosi ricordano per grinta e qualità c’è sicuramente Dino Galparoli. Quale altro difensore avrebbe preferito non incontrare sul rettangolo verde?

Difensori “indigesti” ne ho incontrati parecchi. Negli anni ’70/’80 le marcature non erano come quelle di oggi, erano marcature a uomo a tutti gli effetti. Morini, Gentile, Ceccarini, tutti ossi duri.

 

Catanzaro-Lazio del 15 maggio 1988. Gli ospiti segnano a tempo scaduto con Monelli, mentre il Catanzaro già festeggia. Subito dopo l’arbitro D’Elia decreta la fine del match e scoppia il caos. Lei rimedia un cartellino rosso per “gravi ingiurie all’ arbitro”. A distanza di 27 anni, ci può svelare cosa disse al direttore di gara?

Nel sottopassaggio, in modo molto concitato e a voce alta, gli chiesi il perché di quel lungo recupero (allora non era come oggi, al 90’ le gare finivano), lui invece nel referto per il G.S. scrisse un cumulo di bugie facendomi appioppare sei giornate di squalifica. Assistito dall’Avv. Arceri inoltrai subito ricorso alla Disciplinare chiedendo di essere sentito personalmente, mi tolsero due giornate. Non contento mi rivolsi all’ultimo grado di giustizia (CAF) chiedendo sempre di essere ascoltato personalmente, mi tolsero un’ulteriore giornata. Ero il capitano della squadra altrimenti le giornate di squalifica sarebbero state solo due. Praticamente ebbero più fiducia in me che in quel signore. 

 


Lei è l’espressione massima di una generazione di talenti che hanno vestito la maglia giallorossa. Come si spiega il fatto che quasi nessuno abbia poi ricoperto ruoli dirigenziali? Non ritiene che con quel bagaglio di esperienze e professionalità si sarebbe potuto costruire un grande Catanzaro?

Sono dell’idea che i giocatori più rappresentativi che hanno avuto un trascorso importante in una società debbano avere a qualsiasi titolo (tecnico o dirigenziale) la possibilità di proseguire il percorso e mettere a disposizione di tutti le proprie esperienze. Io, durante l’ultimo anno di attività, ebbi la promessa di fare questo percorso ma Pino Albano alle parole non fece seguire i fatti.

 

Cambierebbe qualcosa della sua carriera da calciatore?

Non rinnego nulla, ho solo un piccolo rimpianto nei confronti dei tifosi napoletani per non aver mostrato il vero Palanca.

 

Cosa significa essere un punto di riferimento per intere generazioni cresciute ammirando le sue giocate, e altrettante incantate pur avendole viste solo in tv?

È un grande motivo di orgoglio.

 

PalancaAndiamo al presente. Palanca e Cosentino. Cosa ne pensa dell’operato della società nell’arco degli ultimi 5 anni? Che rapporto ha col presidente?

Pensiamo a dove stava e, soprattutto, a come stava il Catanzaro cinque anni fa e la risposta viene da sé. Raramente ci vediamo e ci sentiamo, quando ciò avviene lo esorto sempre a non mollare e a fare di più, soprattutto con il settore giovanile che è la componente più importante per una società di calcio.

 

Da osservatore esterno, cosa manca al Catanzaro di oggi per vivere una nuova stagione di fasti?

I tempi sono molto difficili per tutti ed è necessaria una grande programmazione senza trascurare il lavoro verso i propri giovani.

 

Diversi i palloni, diverse le regole, meno gente allo stadio, rose di 30 giocatori, tatuaggi, cuffie e scandali. C’è qualcosa che è rimasta uguale al calcio di trent’anni fa? Ma soprattutto: il calcio sopravvivrà come fenomeno popolare o è destinato a diventare puro intrattenimento?

A chiunque mi chiede le differenze tra il calcio di ieri e quello di oggi dico che uguale è rimasta solo la forma del pallone. Il calcio rimarrà sempre un fatto sociale e soprattutto lo sport può recitare un ruolo fondamentale nella vita di tutti i popoli.

 

 Red

Autore

Arturo Ferraro Pelle

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