Invasioni di Campo

”L’uomo in più”

Il lato B del mondo del calcio e dello show business raccontato con lucida durezza da Paolo Sorrentino nel suo lungometraggio d’esordio.

A cura di Francesco Guerrieri

Titolo film: L’uomo in più
Regia: Paolo Sorrentino
Genere: Drammatico
Anno: 2001
Prezzo DVD: € 9,99

Protagonista della nuova Invasione di Campo di questa settimana è un film. Un film minore, quasi dimenticato, lungometraggio d’esordio di quel grande regista che è Paolo Sorrentino. Il suo capolavoro, premiato a Cannes due anni fa con il Gran Premio della Giuria, racconta la vita pubblica e privata del “Divo” Giulio Andreotti in una Roma ricca e splendente capitale del potere. Al contrario, “L’uomo in più'” è l’intreccio di un paio di piccole storie, con personaggi oscuri alla ricerca affannosa di fama e soldi in una Napoli “grigia e spettrale” dei primi anni ’80. Una storia di calcio e sopravvivenza, lontana dai fasti dell’epopea azzurra del Napoli di Maradona. Inconfondibile il tocco di Sorrentino, così come la penna di Francesco Guerrieri che recensisce per noi il film. (IP)

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“Mister, le volevo dire una cosa: secondo me se la squadra sale un po’, li possiamo contrastare a centrocampo. Non dobbiamo giocare più soltanto di rimessa, io e Gennaro possiamo venire in avanti per i colpi di testa, per esempio”

Che tra le opere meno celebri di un autore si possano celare delle piacevoli sorprese è cosa assodata. Prendiamo ad esempio Paolo Sorrentino, ritenuto ad oggi uno dei più brillanti registi italiani. In pochi sanno che la sua carriera cinematografica ed il connubio vincente con l’attore Tony Servillo cominciano già nel 2001 con “L’uomo in più”, ben prima dell’acclamato successo di pubblico de “Le conseguenze dell’amore”.
L’uomo in più” è una commedia drammatica, ambientata nella Napoli di inizio anni Ottanta in cui due vite scorrono in parallelo, per poi incrociarsi, intrecciarsi e sovrapporsi. Il film supera la staticità del genere drammatico e la schematicità del soggetto attraverso una fine ironia, che esamina il mondo dell’entertainment italiano degli anni ottanta senza farne una macchietta e senza la presunzione di voler fornirci una morale.
Sorrentino scopre una Napoli grigia e spettrale (lontana dai canoni classici della cinematografia pre-Gomorra) e valorizza come meglio non potrebbe le caratteristiche dei due personaggi principali della sceneggiatura. Due persone che hanno lo stesso nome ma diversi modi di approcciare le proprie passioni.
Antonio Pisapia, interpretato da Andrea Renzi, è un calciatore esperto la cui carriera, arrivata quasi al capolinea, è distrutta da un incidente in allenamento. Antonio non scende mai a compromessi ed ha fatto del pallone la ragione della propria vita. Tony Pisapia è invece un cantante di grande successo, interpretato da Servillo, che finisce nei guai e nel dimenticatoio a causa del suo amore per la cocaina e ad una storia di sesso con una minorenne. Se Antonio vive la propria passione con malinconia, l’unico paradigma di Tony è quello dell’eccesso.
Ma com’è il mondo del calcio dipinto da Sorrentino? Un calcio senza star da salotto televisivo, senza tatuaggi sui polpacci, capigliature glamour e veline di contorno. Nello spogliatoio, tra le maglie “ennerre” di tessuto acrilico accatastate sulle panche, i baffoni anni ottanta di Pisapia e le urla del Molosso (una via di mezzo tra il “Petisso” Bruno Pesaola e Carletto Mazzone), riusciamo quasi a sentire il profumo di olio canforato che scalda i muscoli nelle gelide domeniche invernali.
Al contempo emerge la mancanza di meritocrazia in un contesto in cui un’amicizia o una conoscenza valgono più dell’effettiva competenza. Il concetto è sintetizzato dall’espressone lapidaria del presidente napoletano che liquida così qualsiasi velleità da allenatore di Pisapia: “Antò, il calcio è un gioco e tu sei fondamentalmente una persona triste…”.
Il Pisapia calciatore si scontra quindi contro il muro dell’estromissione da un mondo viziato e corrotto per definizione, perché fatto di dirigenti avidi e di calciatori che vogliono monetizzare al massimo la propria breve carriera, che vendono partite e assumono sostanze proibite. La forza della narrazione di Sorrentino sta nel fatto che non si erge mai su un piedistallo per giudicare il mondo del calcio e le sue gravi anomalie. Racconta verità scomode ma ha la capacità di mischiarsi nella narrazione alla straordinaria galleria di personaggi prodotta, sporcandosi le mani insieme a loro, compatendoli e a volte perfino giustificandoli.
E chi sarebbe quest’uomo in più cui si riferisce il titolo del film? Probabilmente è l’invenzione tattica su cui l’ex stopper Pisapia cerca di basare le sue fortune da allenatore, ispirata allo schema tattico che ha portato il Cittadella di Ezio Glerean dal semiprofessionismo della C2 alla Serie B. Però, come già detto, passione ed idee non sono sufficienti per affermarsi.
Ma l’uomo in più del cast è certamente Tony Servillo che, in una trama che si dipana lentamente, lega alla propria interpretazione i momenti di straordinaria grandezza del film, con uno strepitoso monologo davanti alle telecamere di una televisione locale, in cui riassume tutto il suo personaggio, ed il percorso che lo ha portato dalle luci della ribalta all’oblìo, fino ad una risurrezione interiore.
In definitiva, possiamo affermare che non è né il Pisapia cantante né l’omonimo calciatore il protagonista della narrazione di Sorrentino. E’ il senso di inadeguatezza dovuto ad un sogno infranto, che accompagna tutto il film, proprio come la colonna sonora che ripercorre dei mostri sacri degli anni ottanta, da “I will survive” di Gloria Gaynor a “Don’t let me be misunderstood” di Nina Simone.
Se vi piace il buon cinema italiano e non avete ancora visto questo film, vi consiglio di rimediare al più presto.
Fatemi sapé.

“Io ho sempre amato la libertà, e voi non sapete manco cosa cazzo significa”

Francesco Guerrieri

Autore

Redazione

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