Dalla Redazione

Il cerchio si chiude con lo zero

Scritto da Redazione
Classifica fedele istantanea della realtà. E il fondo sembra l’ultima chance

 

Zero. Una parola che indica il nulla, valutazione perfetta di una squadra mai come ora così profondamente figlia della città. Intendiamoci, Catanzaro non è affatto “zero”. Esistono professionalità e personalità che ogni giorno e senza clamore contribuiscono ad arricchire la comunità, operando con fatica doppia e soddisfazione dimezzata rispetto a chi vive in altre realtà. Zero è chi rappresenta o intende rappresentare i catanzaresi all’interno dei palazzi della politica. Palazzi infetti, occupati da uomini e donne ormai malati cronici che andrebbero allontanati dal territorio comunale per ragioni di salute pubblica.

Questa creatura in grado di falsare un campionato di Lega Pro – altro che l’Igea Virtus della scorsa stagione – è indiscutibilmente il Catanzaro dei Tavoli politici, delle istituzioni prive di credibilità alcuna, dei danni all’erario, degli idioti ad ogni livello. La classifica del peggior campionato di quarta serie che la storia ricordi, non è una fotografia delle prestazioni di ventidue aspiranti giocatori di pallone, ma di chi in campo ha permesso loro di scendere.

Zero è chi ha partecipato, anche solo per un attimo, alla più grande operazione di salvataggio andata a male che la storia della città ricordi. Zero sono i vecchi dirigenti dell’Unione sportiva a cui ancora si dà credito e quelli del Football Club a cui ancora si concede parola. Zero quei tifosi con le mani in pasta che osano concedere placet ed esprimere niet.

Zero quei tifosi a tempo pieno capaci di portare in trionfo truffatori e millantatori come nulla fosse. Zero quei ruffiani con una mano alla penna e l’altra al portafogli. Zero chi scambia la ricerca del consenso con la riduzione all’obbedienza.­

Ma zero è anche un numero che precede altri numeri. Negativi o positivi. Zero può essere dunque, in ogni caso, un punto di partenza. Ma con chi? E verso dove? Almeno alla prima domanda, una collettività di tifosi intellettualmente onesta avrebbe già risposto da tempo.

Ci sono due operatori economici – unanimamente riconosciuti tra i più solidi della regione – che in estate hanno pubblicamente dichiarato: “in caso di malaugurato fallimento, ripartiremmo anche da una categoria inferiore” ().  E ce n’è un terzo che sogna di diventare presidente, animato da sicura (ed anche qui unanimamente riconosciuta) passione (vedi qui). Due dei tre sono già impegnati con il calcio minore nella vicina Soverato. 

Considerate poi la situazione di estrema precarietà in cui versano moltissime realtà di seconda divisione. Non è un mistero – specie per chi frequenti un minimo gli ambienti federali – che per il campionato 2011/2012 sarà sufficiente presentarsi ai nastri di partenza con una società solida e le relative garanzie per aspirare a partecipare all’ultimo dei campionati professionistici. E allora? Perché ci si aggrappa ancora alle parole francamente deprimenti di Santaguida e Ferrara? Perché si rincorre irrazionalmente quel tale di nome D’Ambrosio o si pensa a “vecchi dirigenti” che per per un verso o per l’altro sono responsabili della situazione in cui ci ritroviamo? Morto e sepolto questo Effeccì, perchè non passare ad incassare l’impegno promesso nel maggio scorso in conferenza stampa da Noto e Colosimo? Perchè non richiamarli alla responsabilità di quelle pubbliche dichiarazioni? Così, semplicemente, senza piaggeria.

In qualsiasi città, la via del nuovo inizio sarebbe segnata. Non qui, nella Catanzaro dei sotterfugi da quattro soldi. Per molti catanzaresi il lavoro, l’esercizio dei diritti fondamentali e perfino il semplice godimento degli affetti sono frutto di prolungati condizionamenti e figli di compromessi quotidiani stretti con chi detiene ciò che ovunque sarebbe considerato frattaglia di potere (non sempre e non necessariamente solo “politico”).

In questo luogo che ci ostiniamo a chiamare terra, come fosse una patria, le scelte di ogni giorno ci appartengono sempre meno, man mano che le nostre responsabilità nei confronti delle persone che amiamo aumentano. Per questa ragione, preservare uno spazio libero diventa vitale. E il Catanzaro è sempre stato lo spazio libero per eccellenza, il carnevale eterno all’interno del quale le gerarchie sociali venivano costantemente rovesciate. In breve, l’utopia meglio realizzata che si sia mai conosciuta.

“Il ricco, l’uomo di successo, è come me – che sono un povero diavolo – non perchè alla fine della vita muore…ma perchè alla fine della settimana tifa Catanzaro“.

Possiamo rinunciare a tutto questo, e in nome del quieto (soprav)vivere gettare nella pattumiera dei ricordi un’altra fetta di libertà. Oppure possiamo tenerci stretto questo zero. E per una volta, ripartire.

Fabrizio Scarfone

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