Lotta alle mafie, «presentato il primo blocco di riforme»

L’annuncio di Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio nonchè presidente della commissione per le proposte normative per il contrasto alla malavita organizzata, a margine di un convegno sull’usura che si è svolto all’Università di Firenze

Lotta alle mafie, «presentato il primo blocco di riforme»Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri e presidente della Commissione per l’elaborazione di proposte normative sulla lotta alla criminalità organizzata voluta dal premier Matteo Renzi, ha presentato lunedì a Palazzo Chigi il primo blocco di riforme.

L’annuncio, è stato dato a Firenze a margine di un convegno sull’usura che si è tenuto all’Università. «Ci siamo dati delle regole – ha fatto sapere il procuratore – e infatti in tutte le modifiche che abbiamo apportato, l’obiettivo era di non abbassare di un millimetro il livello di garanzia dell’indagato o imputato».
Gratteri ha parlato anche di criminalità organizzata:«La ‘ndrangheta vuol comprare ciò che è in vendita da Roma in su, cosa che vediamo in particolare nel campo della grande distribuzione commerciale e della gastronomia».

Il procuratore ha risposto alle domande dei giornalisti, che hanno domandato quali segnali di infiltrazione l’interessato potesse cogliere dal suo ufficio, e si è soffermato anche sulla situazione della Toscana: «Qui – ha detto – le mafie sono a macchia di leopardo, in particolare camorra e ‘ndrangheta», ha detto il presidente della commissione Antimafia ricordando la grande disponibilità di denaro per la ‘ndrangheta che deriva dal traffico di cocaina e dalle attività di riciclaggio dei prestanome. «Ogni tanto – ha aggiunto – ci capita dalla Dda di Reggio Calabria di individuare ‘ndranghetisti che si muovono e frequentano parte della Toscana».

Particolare attenzione è stata, infine – in linea con il tema del convegno – riservata al problema dell’usura. «La pena per questo tipo di reato – ha detto Gratteri – è ridicola. Col sistema giudiziario attuale un usuraio sta in carcere per non più di due anni, sostanzialmente il tempo del processo di primo grado. Metà del tempo, poi, lo trascorre agli arresti domiciliari, mentre andrebbero alzate le pene. Con condanne basse, o con provvedimenti come gli “svuota-carceri” – ha continuato l’interessato – si diminuisce di credibilità e questo è diseducativo.

Perciò – ha sottolineato – servono modifiche tali per cui non sia conveniente fare il reato di usura. Invece l’usuraio, sapendo che male che gli vada rimaner in carcere non più di due anni, è indotto a trasgredire la legge».

«Non è poi indifferente che le indagini sui casi di usura – ha detto ancora Gratteri – le faccia il pm tizio o caio, o come la polizia giudiziaria sa fare l’indagine, perché spesso nella tecnica d’indagine si sottovaluta che il reato di usura sia un reato difficile da dimostrare.

A volte si danno per scontati alcuni elementi e si fanno errori, e in tal modo non si può dimostrare il reato». Gratteri, parlando poi coi giornalisti sugli errori nelle indagini per usura, ha spiegato che «non basta la dichiarazione dell’usurato. Serve invece fare delle consulenze per quantificare esattamente il tasso usurario e questo calcolo deve essere dimostrato cioe’ bisogna cercare di portare matrici di assegni, scritture private, registrazioni di minacce telefoniche. Si possono utilizzare tabulati telefonici delle conversazioni tra usurato e usuraio.

“Bisogna capire – ha concluso Gratteri – che l’indagine per usura non è una passeggiata».

corrieredellacalabria

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