Operazione Columbus: colpo al narcotraffico internazionale, 13 in manette

Colpo al narcotraffico internazionale: 13 in manetteUn fiume di cocaina proveniente dal Costa Rica che dagli Stati Uniti arrivava regolarmente in Italia, nascosta da società di comodo in mezzo a spedizioni apparentemente innocue, ma che mensilmente assicuravano carichi in genere ridotti, ma di altissima qualità. È questo il business milionario fatto saltare dall’indagine Columbus, coordinata dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri insieme al pm Paolo Sirleo, che nella notte ha portato al fermo di tredici persone, individuate anche grazie a quel protocollo d’intesa fra il Dipartimento di Pubblica Sicurezza e il Federal Bureau of investigation, che da tempo assicura il continuo scambio di investigatori fra Italia e Stati Uniti.

Uomini esperti nella lotta alla criminalità di tipo mafioso, provenienti dai ranghi dello Sco e dell’Fbi, che all’esito di lunghe e complesse indagini, hanno individuato i tredici soggetti che gli agenti della Squadra Mobile hanno arrestato questa notte.

UNA RETE INTERNAZIONALE
Tutti quanti per i pm sono a vario titolo espressione delle ramificazioni italiane di una vasta rete di narcotraffico internazionale, il cui regista e mentore è Gregorio Gigliotti, imprenditore calabrese da tempo residente a New York. Un insospettabile per gli investigatori statunitensi, che mai – prima che la Dda reggina li sollecitasse al riguardo – si erano occupati dell’imprenditore di origine italiana, che nella Grande Mela aveva messo su un noto ristorante tipico “Cucino a modo mio”, e risultava intestatario o comproprietario di una serie di attività di import export di prodotti alimentari. Ma all’Fbi è bastato tenere sotto osservazione il suo ristorante, per comprendere come a quei tavoli non fossero di casa solo gli amanti della buona tavola.

Lì le ‘ndrine reggine erano di casa. Un riscontro importante per gli investigatori italiani, che già da tempo stavano sulle tracce di Gigliotti, emerso marginalmente in quella prima indagine Solare, che nel 2008 ha portato alla scoperta di New York come “borsa della droga”, usata dai clan calabresi nella gestione delle rotte della coca provenienti dal Messico. Già all’epoca, il nome di “Gregorio di Corona” era venuto fuori nelle conversazioni intercettate che hanno inchiodato il narcotrafficante Giulio Schirripa e i suoi più stretti collaboratori, tutti fermati, processati e condannati a lunghe pene detentive. Ma il loro ruolo – ipotizzano oggi gli inquirenti della Dda reggina – non è rimasto scoperto a lungo.

L’EREDE DI SCHIRRIPA, TRA NARCOS, ‘NDRINE E MAFIA AMERICANA
A rilevarlo è stato proprio Gigliotti, i cui contatti con la mafia americana sono stati certificati dall’indagine coordinata dall’United Attorney’s Office – Eastern District di New York, che ha fatto luce sui rapporti d’affari, tutti incentrati sul comune interesse nel narcotraffico, fra i referenti calabresi nella Grande Mela e le famiglie dei Gambino, dei Lucchese, dei Genovese.

È proprio nell’ambito di quest’indagine che è saltato fuori quel prestito che Gigliotti ha strappato al noto boss delle famiglie americane, Anthony Joseph Romanello, necessario per sovvenzionare le spedizioni di cocaina in Italia. Un dato informale, non cristallizzato in atti giudiziari, ma che agli inquirenti è servito come conferma ulteriore di un’ipotesi a cui lavoravano da tempo: il regno di Schirripa è stato rilevato da un erede, Gregorio Gigliotti.

E i magistrati credono anche di essere in grado di datare, con un discreto grado di precisione, il momento dell’avvicendamento. Nel gennaio 2014, gli investigatori registrano la presenza di Gigliotti in Calabria, dove tramite Franco Fazio incontra acquirenti delle ndrine della jonica e progetta spedizioni future con altre famiglie di ‘ndrangheta, come i Violi. Affari di cui l’uomo informa pedissequamente il figlio Angelo, che in quello stesso periodo – affermano gli investigatori statunitensi – è in strettissimi rapporti con Anthony Richard Federici, detto Tough Tony, underboss della famiglia Genovese.

DROGA, AFFARE DI FAMIGLIA
Per Gigliotti dunque, quello della droga è un affare di famiglia. Accanto a quello gastronomico infatti, Gigliotti gestiva insieme ai familiari – la moglie Eleonora, i figli Angelo e Giuseppe, e il nipote Emilio – un più ricco e fiorente business: quello della cocaina.

E se Gigliotti era la mente, toccava alla moglie Eleonora, insieme ad altri soggetti italiani, formalmente dipendenti del ristorante, fare la spola fra gli Stati Uniti e il Costa Rica, per definire di volta in volta, modalità, quantità e tempi di invio della coca, come gestire delicatissime trattative in Italia. Spedizioni che almeno in due occasioni sono state mandate in fumo dagli investigatori, che per due volte – nel porto di Chester e in quello di – hanno intercettato due carichi di cocaina.

FAZIO E LA RETE CALABRESE
E se in centro- America le indagini devono ancora dare un nome e un volto agli interlocutori dei Gigliotti, tra Calabria e Stati Uniti era Franco Fazio il principale braccio operativo del narco-ristoratore. Ed è stata proprio la sua rete di contatti a cadere la scorsa notte.

Monitorandolo, gli investigatori lo hanno visto stringere con disinvoltura accordi con uomini dei clan di tutta la Calabria, dai Violi di Sinopoli, legati a Gigliotti da rapporti di comparato e principali destinatari delle spedizioni di coca, ai Berlingeri di Catanzaro, fino alle cosche di Vibo e Crotone.

È e rimane un soldato, ma Gigliotti conta molto su di lui. All’occorrenza, gli ordina di raggiungerlo a New York, da dove più volte lo ha spedito a San Josè, in Costa Rica, per gestire delicate trattative con i narcos e consegnare loro le ingenti somme di denaro che il narco-ristoratore gli affida per pagare i carichi.

Quando i sequestri scompaginano i soliti canali di spedizione, non esita a costituire una società di import export per non interrompere il traffico, mentre organizza con i sodali calabresi i canali di distribuzione locale. A far saltare i suoi piani sarà l’arresto di Gigliotti e dei suoi familiari, cui le autorità statunitensi stringono le manette ai polsi nel marzo scorso. Per ordine dell’Fbi e dell’Homeland security), coordinati dall’Eastern District Attorney di New York, sono finiti dietro le sbarre il narco-ristoratore, la moglie Eleonora cd il figlio Angelo, ritenuti responsabili di importazioni di cocaina dal centro- America verso gli Stati Uniti, a partire dal 2009. Una notizia che ha paralizzato i progetti di Fazio, ma non lo ha salvato. Per lui e per i suoi sodali questa notte sono scattate le manette.

Alessia Candito

corcalabria

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