Intervistiamo

Ricomincio da tre

Scritto da Francesco Panza
Restare sognatori anche quando tutto gioca contro di noi e i nostri sentimenti. Massimo Troisi, Jonah Lomu e quel sottile filo rosso che unisce Saint-Denis a Catanzaro
 
 
 

Non si ricomincia mai da zero, anche quando le cose vanno molto male, ma sempre, almeno da tre. Massimo Troisi me l’ha insegnato qualche anno fa. La San Giorgio a Cremano post-terremoto fa da sfondo al dialogo fra due amici, in uno scenario non poi tanto dissimile da quello del Ceravolo e delle zone antistanti lo stadio, da dove Salvatore e Francesco filmano la striscia. Uno scenario frutto di anni d’incuria e menzogne della politica.

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Nella scena i due amici, ripetono quasi ossessivamente: “chi parte sa da che cosa fugge ma non che cosa cerca”. E mi sento anch’io un po’ così dopo questi giorni passati in una Parigi che piano torna alla vita. È una sensazione permanente quella del ‘migrante’, così come quella del tifoso giallorosso. Una sensazione per alcuni aspetti precisa e definita (abbiamo chiaro in testa quello che non vogliamo o che non vogliamo più vivere e vedere), per altri versi completamente oscura. Nessuno sa davvero quale sia la meta. Perché anche se corri come Jonah Lomu forse una meta precisa non c’è. 

Serve un miracolo per scaldarci il cuore? Una bella favola di Natale anticipata? Forse servirebbe. Servirebbe un miracolo a Saint-Denis o a Aubervilliers, dove il terrore nelle strade ha di nuovo lasciato posto a bambini arabi e nordafricani con i loro palloni. Dove il terrore ha lasciato il posto ai miei amici che mi aspettano in una stazione della metro di periferia per la solita partitella, che oggi ha un significato terribilmente diverso dal solito. Qualcuno di loro era allo Stade de France, qualcun altro a bere una birretta nell’undicesimo. Nessuno ha perso la voglia di giocare, di sperare. Servirebbe un miracolo per tornare a scaldare il cuore di una città, che pur non vivendo momenti tragici come quella che mi ha adottato, è come su un piano inclinato, un piano inclinato del quale non si capisce quale sia il fondo. Ma forse il miracolo a cui non credo, ma che attendo, sono proprio quei sorrisi, quella voglia di correre spensierati dietro ad un pallone. Sarà un’illusione, ma la realtà ha invaso la mia vita eccessivamente questa settimana, ho bisogno di tornare a vivere.È per questo che, come Troisi, oggi, vi propongo di ricominciare da tre. E qui le tre vittorie e i tre punti, c’entrano poco. O forse c’entrano ma solo fino a un certo punto. 

Grandi esulta con i tifosi del CatanzaroRicomincio da tre con i tifosi che attendono la squadra dietro i cancelli imposti da un potere pubblico stupido, sordo, cieco e ignorante. Tanto stupido quanto quello che crea divisioni assurde basate sul colore. Tanto stupido quanto quello che scambia il conflitto di classe per religione. Ricomincio da tre con l’entusiasmo inconsapevole di un portiere che era venuto a Catanzaro per scaldare la panchina e diventa eroe. Ricomincio da tre perché mi sarebbe piaciuto essere stretto a quei cancelli per tornare a sperare insieme a voi. Tornare a sperare nel mio calcio. Quello minore, quello fatto di poesia e resistenza. Quando in campo possono esserci indistintamente l’Oxford United, il Red Star, o il nostro Catanzaro. 

Vista aerea di Catanzaro

E intanto la città strombazza lì fuori, nel suo caos, dimentica delle proprie miserie. È una citta sporca, di marciapiedisconnessi, di negozietti (sempre meno) e centri commerciali; circondata da quartieri miserevoli, scollegati e morti. Qualche assurdo burocrate l’ha resa così ma, in ultima istanza, siamo stati noi stessi ad accettare passivamente quell’evoluzione disordinata e senza senso. Il trascorrere del tempo nella città, come i novanta minuti sul campo da gioco, sono una splendida metafora della vita, una fedele riproduzione dei patimenti, delle gioie e delle angosce che animano il vivere quotidiano. Basta guardarsi intorno: i lavori pubblici cominciati e mai finiti, i Distinti e lo stadio in quello stato come offesa mortale al cuore della città, le facce appese sui muri da votare ancora. Noi continuiamo a tirare avanti come se nulla fosse, come se quello spazio urbano non si facesse ogni giorno più degradato e asfittico. Gioiamo, ci disperiamo, ci esaltiamo, ma accettiamo tutto. 

Ho pensato prima di sabato, che avessimo collettivamente smesso di credere che, per tenere i piedi ben saldi a terra bisogna avere il coraggio di guardare al cielo. Restare sognatori in un mondo fatto di cinismo è invece l’unico antidoto contro l’infermità mentale. Si restare sognatori, anche a Catanzaro. Restare sognatori anche quando tutto gioca contro di noi e i nostri sentimenti. Restare romantici e fedeli a noi stessi, aspettare la squadra fuori, scambiando, magari, quel manipolo di calciatori senza pretese per le leggende del passato. E allora Maita, Giampà, Razzitti, Taddei, Grandi e Moi diventano, ma solo per un istante, Vignando, Braca, Corona, Palanca, Mattolini e Ranieri. Miti intramontabili che stanno lì a raccontarci gesta leggendarie, di cui, nonostante tutto, resta scolpita la memoria nell’anima della periferia.

È proprio da quell’anima in chiaroscuro che bisognerebbe ripartire. Gli abitanti della periferia, con le loro storie e le loro vite semplici, sono considerati gli ultimi da chi prende le decisioni e crede di poter disporre di vite, anime e illusioni. Certo, nella loro condizione di debolezza sono spesso capaci di gesti meschini e privi di qualunque coscienza civica; ma quando si rendono conto che c’è bisogno di loro sono lì, ancora, per fare la storia. E allora si rimboccano le maniche, senza grandi proclami, per non far mancare il loro sostegno a quel manipolo di eroi. È con gli abitanti della periferia che vale la pena di guardare al futuro, è con loro che vale la pena di descrivere e interpretare il mondo, è con loro che vale ancora la pena di lottare. È con loro e per loro che non mi arrendo a un destino di terza o quarta serie. A Saint Denis, come a Catanzaro.

 

 

 logo twitterEmanuele Ferragina

 

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Francesco Panza

13 Commenti

  • Abituati all’indifferenza stavolta, toccati nell’orgoglio profondo, ci siamo accorti che questa città appartiene anche a noi. Sabato la partita "fuori porta", oggi le saracinesche dei negozi abbassate per protesta contro lo smantellamento dell’Ospedale Pugliese. Siamo più forti di quanto vogliono farci credere di essere. Riprendiamoci le chiavi. <br />
    Alla prossima partita a porte chiuse, in pochi staranno "dentro", e gli altri TUTTI FUORI!

  • E pensare che Gabriele, nonostante lo sfacello politico, consigliava al presidente cosentino di consegnare l’uesse al sindaco. Gabrie’, dove c’è politica (soprattutto se la politica è calabrese) c’è degrado e miseria. Meno hai a che fare con la politica e più progredisci.

  • Complimenti Ferraggina.Ma adesso tutti uniti, tifosi calciatori, SOCIETÀ, con il GRANDE PRESIDENTE COSENTINO anche se lasciato solo dai poveri politicanti di questa Città, vedi la vergogna delle porte chiuse di sabato sera e ti rendi conto di che gentaglia ci rappresenta politicamente.IL NULLA.<br />
    MA il Sindaco, gli Assessori, il Consiglio Comunale ci sono, oppure solo per i soldi.RIDICOLI. <br />
    FORZA GIALLOROSSI E FORZA PRESIDENTE. <br />
    NON MOLLARE MAI.

  • Però devo dare ragione a stranierodellanotte se stiamo a parlare di calcio e non di penalizzazione e solo grazie al presidente cosentino e non a l’imprenditoria catanzarese assieme alla politica che gli rema dal primo giorno dopo le dimissioni dell onorevole traversa comunque forza sempre cz

  • Stranierodellanotte ti sei reso conto adesso che imprenditoria catanzarese vedi sponsor zero politica catanzarese vedi stadio che fa schifo e altro lo vedono pure le pietre solo chi non vuole sono tutti contro il nostro caro presidente ,che ne pensi se per protesta facesse giocare a vibo al luigi razza aspetto risposte da chiunque pure della redazione un saluto e forza cz

  • Bravo ed è forse per quello che questi mediocri e mafiosi si oppongono all’unico vero motivo di aggregazione, stiamo vicini al CZ e al presidente!!!

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