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La società sotto esame: Princi e i fantomatici imprenditori catanzaresi

L’editoriale di Francesco Ceniti

A ciascuno il suo. Non è tempo di regali per il Catanzaro che nelle ultime settimane marcia controvento, mentre gli avversari sfrecciano senza problemi irridendo gli uomini in giallorosso. Non è tempo di riconoscimenti per il condottiero Cagni, infilzato con troppa facilità dai suoi colleghi. Non è tempo di sorrisi per una società che per due anni sembrava volare alto grazie ai successi conquistati sul campo, ma da quando sono arrivate le prime turbolenze ci si è accorti, tra lo stupore generale, che nessuno pilotava l’aereo. Ed è proprio questo l’aspetto più delicato della vicenda Catanzaro. Non la classifica (preoccupante, certo, ma rimediabile); non le brutte figure rimediate in casa con il Catania o il Perugia (umilianti conveniamo, ma forse qualcuno ha dimenticato le scoppole prese a domicilio da Castrovillari o Martina); non la pochezza dell’organico (tutti possono sbagliare una campagna acquisti, l’importante è non perseverare).
Insomma, a noi interessa che ci sia il pilota e soprattutto che si assuma le responsabilità: così nel caso di un malaugurato incidente saranno ben chiare le colpe. Per fare questo, però, è necessario sgomberare il campo dai pregiudizi (molti) e dalle leggende (anche queste numerose) che stanno accompagnando il nuovo corso del sodalizio giallorosso. Tanto per intenderci parliamo di Nino Princi. Fin dal primo giorno gli è stata ricordata la sua origine reggina, come se fosse una colpa. A parte che seguendo questa logica non dovremmo più tifare per il Catanzaro, in quanto rappresentato da calciatori e allenatori che nulla hanno a che fare con la città dei tre colli, diamo per scontato che il motivo dell’appunto a Princi parta da una visione romantica e obsoleta del calcio. I tempi della gestione casalinga alla Nicola Ceravolo sono stati bellissimi, ma appartengono al passato così come tutti ammiriamo le belle carrozze possedute da barone De Paola, ma poi per tornare a casa prendiamo la macchina.
Non solo (e qui lasciamo il fioretto e passiamo alla spada), gli ultimi 25 anni del Catanzaro sono l’emblema di una certezza: gli imprenditori catanzaresi si sono letteralmente fregati (tranne qualche rarissima occasione). Qual è l’eccezione? La tanto vituperata famiglia Mancuso, l’unica ad aver messo soldi contanti che hanno evitato alla società l’onta del fallimento (che poi abbiano inanellato una serie di sbagli è un’altra storia). Ma eravamo già in C2. La serie A già un bel ricordo lontano, come Adriano Merlo contestato e cacciato a furor di popolo perché friulano. Quel signore, però, aveva del calcio una visione corretta: capì in anticipo che una società come il Catanzaro può aspirare al massimo a fare l’altalena tra A e B. La retrocessione dopo il campionato più bello della nostra storia calcistica, fu invece vista come un sacrilegio (l’anno prima era sceso il Milan!). Risultato: Merlo si disimpegnò, la squadra capitombolò in C1 e la pallina della roulette si fermò sul numero di Pino Albano. La società aveva i conti a postissimo (bei tempi), solo che la famosa altalena si spostò tra B e C, ma intanto il friulano aveva lasciato spazio al pugliese. Anni dopo e con la Sangiuseppese che aveva preso il posto di Juve, ma anche di Perugia e Brescia, gli stessi tifosi decidono di defenestrare il signor Albano: contestazione ad oltranza, ma della famosa cordata (“di salsicce” la battezzò giustamente lo stesso Albano) d’imprenditori locali nemmeno l’ombra. Spunta allora Giuseppe Soluri, giornalista e grande tifoso, ma non certo miliardario. Con passione tenta una difficile scalata: peccato che le sue squadre crollassero sempre a febbraio. Forse era colpa della preparazione sbagliata o, come malignamente si diceva in città, degli stipendi che non arrivavano più. In ogni caso le casse del Catanzaro arrivarono al collasso e un tribunale decise di commissariare la società. E qui il miracolo lo compie Maurizio De Filippo che riesce da pubblico ufficiale a salvare il Catanzaro dai capelli trovando in tempo un acquirente: i Mancuso.

E siamo al punto di partenza. Quando anche i nuovi proprietari decidono di non investire più un soldo nel calcio (dimenticavamo le contestazioni, ma erano sottintese), lo spettro del fallimento torna a galla. I famosi imprenditori locali? Tutti emigrati. Alla fine i Mancuso vendono la società a costo zero e i nuovi soci (Parente e Poggi) si accollano i debiti (pochi a dirla tutta). Accade l’impensabile: dopo anni di sfighe continue, la buona sorte ci restituisce tutto in un anno: dalla C2 alla B senza passare dal via. Davvero incredibile. Nel clima d’euforia nessuno si accorge che l’aereo era decollato con un carico di benzina molto scarso. Fuori da ogni metafora: i soldi per la B mancavano. Per la verità i primi segnali erano già arrivati in C1 (leggi stipendi non pagati per mesi). I tifosi, però, concentrano la loro attenzione sulla campagna acquisti. Poco importa se i dipendenti del Catanzaro (non i calciatori) vedono sotto i loro occhi materializzarsi i fantasmi dell’improvvisazione (campagna abbonamenti, organigramma inadeguato, contratti degli impiegati stipulati sulla parola), tanto siamo in B. Parente tenta di venire a capo della situazione e cerca soci disposti a investire per coprire i costi: arriva Princi (gli imprenditori catanzaresi sono una razza estinta) e di fatto diventa il padrone della società (se uno mette i soldi è anche logico).
Come tutti gli esseri umani sbaglia. Il suo errore è quello di voler condurre la campagna acquisti con tanto di almanacco nel taschino, ma per onor di cronaca va ricordato che non è stata colpa sua se Martino (pugliese, non reggino) è approdato alla Lazio. Comunque, avevamo chiesto un’assunzione di responsabilità: Princi ha risposto presente. Gli acquisti di gennaio saranno il suo banco di prova (ovviamente sotto consiglio di Cagni che nel nuovo anno non avrà più alibi) anche se noi riteniamo sbagliata la mancanza di un d.s. (Jacobelli, chiamato da Cagni, potrebbe diventare il nuovo team manager) e la defenestrazione di Logiudice (toh, un reggino che a Catanzaro ha fatto benissimo). Nel frattempo la società ha compiuto dei passi avanti, tappando buchi importanti nell’organigramma. In questo senso segnaliamo una cosa: all’Expo gol di Milano il migliore stand dal punto di vista qualitativo e organizzativo è proprio quello del Catanzaro. Chi può lo vada a vedere. E’ un segnale incoraggiante.
Certo, le scelte tecniche sono più difficili. Princi ha deciso di affrontare la sfida in prima persona. Se sbaglierà di nuovo (e speriamo che questo non accada) avremo tutti gli strumenti per criticargli questa sua ostinazione. Ma credeteci, noi preferiamo avere un aereo che abbia benzina a bordo e un pilota. E per molto tempo abbiamo viaggiato senza entrambe le cose.

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Redazione

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