Dalla Redazione

Siamo di più, siamo più forti e siamo con Cosentino

Scritto da Redazione
Le parole del presidente, lo scontro sotterraneo mai concluso, il ruolo dei tifosi

014Io sono un catanzarese. Ho radici profonde nella città che ho soltanto smesso di frequentare quotidianamente da qualche anno ma che continua ad essere la mia. Qui mi ostino a mantenere la residenza, a votare (meglio sarebbe scrivere a “non votare”), a indirizzare auguri e maledizioni. Io sono un catanzarese. Non “uno di fuori”, non uno liquidabile con un’alzata di spalle o un post su Facebook. Non uno impressionabile con una stanca minaccia di querela o la consueta promessa di mazzate. Io sono catanzarese: col mio accento, il mio dialetto, le mie nostalgie, la mia collezione di volti perduti per sempre (Maurizio Nisticò, uno di questi), i miei sogni. Io non vado via. Io non sono lontano.

La premessa non è autoreferenziale: contro ogni evidenza (me ne rendo conto) non lo è affatto. La premessa è obbligatoria per neutralizzare la reazione stracciona di chi vuole conservare ciò che non è più conservabile, di chi progetta di restaurare le macerie. 

Oggi il presidente Giuseppe Cosentino ha parlato in conferenza stampa. La conferenza stampa di una squadra di calcio di terza serie. Lo riscrivo: la conferenza stampa di una squadra di terza serie. Per quanto possa significare il Catanzaro per ognuno di noi, questa è la realtà.

Una squadra di terza serie in crisi tecnica da un mese e mezzo. Una squadra guidata da un allenatore che non convince più (ne abbiamo parlato chiaramente in queste settimane) e che la proprietà ha deciso di confermare senza condizioni. 

È il calcio. Meglio, è il pallone, perché il calcio sta ad altre latitudini, in altre serie. Tutto ciò che ha a che fare con il pallone è opinabile e ogni attore – calciatore, preparatore atletico, direttore sportivo, presidente – può facilmente essere eroe per qualcuno e buono a nulla per qualcun altro. 

A Catanzaro però c’è di più. Il 3 giugno di quest’anno abbiamo pubblicato un pezzo dal titolo . Abbiamo raccontato senza essere mai smentiti cosa stava succedendo. Abbiamo fatto cronaca, abbiamo fatto giornalismo. Abituato alle veline, ai live ammuffiti, alle sagre, agli annunci e ai comunicati politici dei grandi pensatori catanzaresi, qualcuno ha storto il muso. Oggi Cosentino ha confermato direttamente la sostanza di quel pezzo: qualcuno vuol farlo fuori. 

Chi in queste settimane contesta duramente il presidente, chiamando in causa la natura stessa del suo impegno a Catanzaro, come fosse uno qualsiasi degli straccioni del passato, giustifica le proprie azioni esclusivamente con gli scarsi risultati del campo. Non lasciatevi ingannare.

Perché se può esistere una miope minoranza di tifosi che per una serie di contingenze avverse è pronta a rovesciare il tavolo, è altrettanto vero che c’è chi a quel tavolo cerca di tagliare le gambe da molto tempo.

009L’uomo che deve tornare in Aspromonte” – come ha scritto qualcuno ricevendo al solito pronta pubblicazione da organi di informazione che non sanno cosa sia il criterio di notiziabilità – quest’anno ha costruito una squadra all’altezza dei nostri sogni. Migliorabile (quale squadra non lo è), ma finalmente competitiva, pronta a sfidare le più forti. Questa squadra è stata l’arma infallibile di Cosentino contro chi già giurava che si sarebbero investiti soldi per lo stadio solo dopo l’allestimento di una squadra capace di ambire al primato. Cosentino con i soldi ha neutralizzato le comparse che oggi, a crisi tecnica conclamata, sono pronte a ingaggiare battaglie all’ultimo sangue. Battaglie per la “dignità”, l’ “onore”, addirittura l’ “onestà intellettuale”. «Cosentino ci dica dove vuole arrivare» ripetono, come se Poggi, Parente, Pittelli, Coppola, Soluri, Aiello, Catalano, Santaguida in passato lo avessero fatto. Come se il signor Gicos fosse l’erede di padri costituenti integerrimi cui rimanere eternamente grati. 

Oggi c’è un gruppo piccolo ma rumoroso di catanzaresi che considera la società un nemico occupante da scacciare in ogni modo. Questo gruppo è pronto ad appigliarsi a tutto: un cambio sbagliato, un acquisto mancato, l’uscita incauta del Ds o (ma di meno s’intende, ubi maior…) l’inopportuno spot elettorale di un avvocato neo candidato alle prossime regionali. La buona notizia? Si tratta di un gruppo minuscolo. E può velocemente ritornare nel buio da cui proviene, all’assoluta irrilevanza degli ultimi anni. 

L’altra buona notizia? Oggi nella schiera dei tifosi normali c’è anche la nuova curva Massimo Capraro. Una curva vera, entusiasta ed entusiasmante, una curva indisponibile alle strumentalizzazioni. Possiamo contarci. Possiamo chiedergli  forse addirittura di rappresentarci. Torniamo allo stadio, torniamo a cantare, torniamo a fischiare gli avversari prima dei nostri. È l’unica arma che abbiamo. E vengano pure dieci, cento, mille Moriero, se l’alternativa a un allenatore forse poco dotato è il marcio del recente passato.

«Se c’è qualcuno che crede di poter far meglio prenda pure la società. È gratis: è tutto pagato fino al 30 settembre», queste le parole di Cosentino. Giovanni Mancuso regalò il Catanzaro a Massimo Poggi e Claudio Parente, amati e benvoluti dai gruppetti rivoluzionari di oggi. Sappiamo tutti come andò a finire.

logotwitterFabrizio Scarfone

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