Invasioni di Campo

Tutta un’invenzione

L’incredibile storia dei Cosmos, la squadra in cui giocarono Pelè e Beckenbauer, Neeskens e Bogicevic, Carlos Alberto e Chinaglia

 

Come spesso accade per , parte tutto da un libro. Il titolo è “Once in a lifetime” (“Una volta nella vita”, lo trovate qui), l’autore è Gavin Newsham, inglese e giornalista sportivo del Guardian. Questa volta però, oltre al libro c’è anche altro. C’è innanzitutto una lunga chiacchierata che puntonet ha avuto – per uno speciale sul Catanzaro che pubblicheremo prossimamente- con Alex Yannis, cronista in pensione del New York Times. E c’è un annuncio recentissimo e sorprendente di Paul Kemsley, ex vicepresidente del Tottenham.

Immaginate un rifugio dorato per calciatori ricchi, vincenti e a un passo dal ritiro. Una squadra qualsiasi degli Emirati arabi di oggi insomma, ma con la macchina dei sogni hollywoodiana a disposizione. Stiamo parlando dei New York Cosmos, la prima grande squadra del Nord America, definita da qualcuno l’Atlantide del calcio. Si tratta di una creatura tipicamente americana, un effetto speciale capace di scrivere una stramba epopea lunga quindici anni.

Nell’America in cui il Football europeo è chiamato soccer e fatica ancora oggi ad intercettare il favore del grande pubblico a stelle e strisce, i Cosmos vennero alla luce nel 1970 per iniziativa di due imprenditori turco-americani. Ahmet e Nesuhi Ertegün erano iricchi proprietari della Atlantic Records, etichetta in orbita Time Warner, una delle più grandi società USA di tutti i tempi.

I primi cinque anni dei Cosmos a New York portarono vittorie (un campionato NASL -North american soccer league- nel 1972) certo, ma non la fama.  E per la Warner Communication di Steve Ross, che a un certo punto decise di controllare direttamente i Cosmos, la fama significava tutto. Il debutto casalingo dell’Aprile ’71 allo Yankee Stadium aveva registrato un afflusso di poco meno di quattromila persone, e in molte partite di campionato gli spettatori più assidui erano rimasti venditori di hot dog e pretzel in cerca di improbabili affari. La tendenza doveva assolutamente cambiare.

Perchè una storia valga la pena di essere raccontata deve vivere almeno un momento di grandezza. Non importa come vada a finire, è necessario che quel momento sia vissuto.

E il momento arriva nel 1975. Presentazione in grande stile, ancora più sfarzosa della premiere di un film destinato all’Oscar, poi l’annuncio: la perla nera, il brasiliano Pelè, dopo meno di un anno di inattività viene ingaggiato dalla squadra di New York.

Intendiamoci, Pelè all’epoca non è soltanto il più grande calciatore di tutti i tempi. Il Governo brasiliano aveva finito addirittura per nominarlo “tesoro nazionale non esportabile” dopo che nel ’67, visitando la Nigeria piagata da una lunga e cruenta guerra interna, aveva indotto le fazioni in lotta a un cessate il fuoco di 48 ore. Mica roba da ridere.

E infatti per ingaggiarlo la Warner deve ottenere a suon di milioni e “garanzie” anche una sorta di placet dall’esecutivo di Brasilia. Pelè sbarca a New York con un contratto maestoso per i tempi: 4,5 milioni di dollari per tre anni. Molto di più di quanto avesse guadagnato in tutta una carriera al Santos.

Ma Pelè vale la spesa, per lui  e insieme a lui si muovono le masse: giornalisti, star dello spettacolo, spettatori paganti. Sono tutti ai suoi piedi, o al suo fianco. Si tratta di una sorta di valanga mediatica che parte in cima con l’arrivo del brasiliano e che lungo la discesa a valle porta con sè qualsiasi cosa la Warner decida di mettere sulla traiettoria.

Così capita di vedere Mick Jagger dei Rolling Stones negli spogliatoi o la leggenda del pugilato Muhammad Alì allo Yankee stadium mentre scambia baci e abbracci con o’ Rey. In tribuna ci sono politici come Henry Kissinger (lo storico capo della diplomazia Usa) e attori come Robert Redford.

L’espressione calcio-spettacolo acquisisce a questo punto un significato molto più complesso di quanto non fosse fino ad allora.

I Cosmos vincono, divertono e riempiono lo Giant’s Stadium con una media di 44mila spettatori, più volte fanno registrare anche il tutto esaurito con oltre 73mila paganti. Il progetto tecnico è un po’ quello che 25 anni dopo fu scelto da Florentino Perez nel Real Madrid: si acquistano solo grandissimi campioni, il resto deve venire dal vivaio. L’anno successivo all’arrivo di Pelè, in America sbarca Giorgio Chinaglia e poi, attirati dalla fama e dagli ingaggi Franz Beckenbauer, Carlos Alberto, Neeskens e il maestro di Belgrado Vladislav Bogicevic.

I Cosmos diventano un’isola per grandi campioni, una sorta di Atlantide di cui tanti in futuro parleranno come di qualcosa a metà tra la leggenda e la storia. Lo spettacolo in campo è assicurato (in Rete ci sono alcuni video celebrativi, ad esempio questo che danno il senso di quell’esperienza).

Rovesciate acrobatiche, dribling ubriacanti, tiri secchi all’incrocio dei pali. Tutto è show e non a caso Pelè viene ingaggiato con un contratto di recording artist, e non di soccer player (nel 1981 per lui  un vero film, “Fuga per la vittoria”). A New York, in ogni caso, non si va a svernare. Kaiser Franz, per esempio, arriva nel ’77 giocando ben 105 partite e segnando 19 gol.  Una seconda giovinezza. C’è spazio anche per un altro mito del calcio: Johan Cruijff, che però con i Cosmos gioca solo due amichevoli (creando peraltro una leggenda ancora più grande fra i collezionisti di maglie di tutto il mondo).

Ma dopo quella di Pelè, è di sicuro l’esperienza di Giorgione Chinaglia, la storia più significativa venuta fuori da quella squadra di New York. Il bomber laziale arriva negli States con alcuni problemi giudiziari alle calcagna (problemi che non hanno mai smesso completamente di inseguirlo) ma con la fama riconosciuta del grandissimo campione scudetatto.

Arriva accettando il consiglio della moglie Connie Eruzione che è una ricca donna americana (figlia di un noto costruttore) e vive nel New Jersey. “Son venuto qui per segnare tanti di quei gol…e per dire alla folla chi è Giorgio Chinaglia“, dichiara arrabbiato al suo arrivo. E indubbiamente mantiene la promessa: 193 gol in 213 partite. In sette anni vince quattro campionati (’77, ’78, ’80, ’82). Nel suo settennato americano Giorgione parla molto, moltissimo. Spiega perfino come Pelè non fosse adatto per i Cosmos e che nelle ultime partite era lui a trascinarselo come un peso. E dice ancora che invece di comprare Beckenbauer, i dirigenti avrebbero fatto bene ad investire su qualche giovane americano. 

La stramba epopea dei Cosmos sta per terminare. Nel ’77 Pelè aveva dato l’addio al calcio in un’amichevole giocata contro il suo Santos proprio a New York, nel 1983 Chinaglia torna a Roma per assumere la carica di Presidente della Lazio. In qualche modo ai suoi Cosmos rimane sempre legato ed acquisisce, tramite la società biancoceleste, il 60% delle azioni dalla Warner. Ma non ci sono i capitali sufficienti per continuare l’avventura, e quando la stessa Lega nordamericana chiude (sarà sostituita dalla MFL), chiudono anche i Cosmos. Nel 1985 l’ultima partita amichevole contro la Lazio.

Per Alex Yannis – il  corrispondente del New York Times citato all’inizio del pezzo – quelli furono “gli anni spettacolari che dovevano essere. Fu scelto consapevolmente di trasformare il calcio in un grande show e l’operazione riuscì perfettamente. L’unico rammarico fu che tutto quel circo di majorettes e grandi campioni non portò alla definitiva crescita in America del soccer, schiacciato inevitabilmente da baseball, basket e football“.

Ci hanno riprovato in tanti a diventare i nuovi Cosmos. Ancora a New York, per esempio, i Metrostars. E a Los Angeles i Galaxy di David Beckam. Ma non sarà mai la stessa cosa. Forse neanche la resurrezione che una cordata di imprenditori con a capo Paul Kemsley, ex vice-presidente del Tottenham, ha annunciato, avrà successo.

Kemsley ha rilevato il marchio della vecchia società con l’obiettivo di iscriverlo entro il 2013 alla MLS. In perfetto stile Cosmos ha nomitato Eric Cantona direttore tecnico, Chinaglia e Carlos Alberto “ambasciatori” del club e Pelé, proprio lui, presidente onorario. Basterà?

Fabrizio Scarfone

f.scarfone@uscatanzaro.net

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