Le “Grotte di Diana” e la scoperta dell’acqua calda

Una riflessione di Aldo Ventrici  e dell’Associazione Petrusinu Ogni Minestra sul disinteresse alla Città di Catanzaro da parte delle Soprintendenze

Le “Grotte di Diana” e la scoperta dell’acqua calda. Per carità – meglio sgombrare il campo da qualsiasi parvenza di annuncio sensazionale – chiarisco subito che, all’interno delle Grotte che si sviluppano nel sottosuolo della Città di Catanzaro, non sono state rinvenute le ceneri e la pentola del falò  primordiale che ha dato origine a uno dei modi di dire più utilizzati per deridere qualcuno che presenta come nuovo qualcosa di scontato, già saputo e risaputo. La metafora la utilizzo, per così dire, per esprimere la mia rabbia, di storico e di ricercatore, di fronte alla sconsolante constatazione della scarsa considerazione riservata alla storia della Città e di fronte alle conferme che la città stessa – quasi si trattasse di un organismo dotato di propria personalità,  volontà e determinazione – ci propone, considerato che oramai, da un po’ di tempo a questa parte, ovunque si scavi nel territorio catanzarese, spuntano fuori reperti e testimonianze di un passato che solo la forza della tradizione e della trasmissione orale tra le generazioni ha impedito che potesse cadere nell’oblio.

L’ho detto altre volte e lo ripeto ancora oggi – all’indomani della notizia che dà per “riemerse” le Grotte di Diana che saranno studiate da un archeologo incaricato dal Comune – che è giunta l’ora che questa nostra benedetta Città ed il suo circostante territorio vengano trattati per come meritano e non debbano rimanere sempre relegati a ruoli di subalternità e di disinteresse.

Troppe volte le indagini di scavo sono state interrotte e gli archeologi buttati fuori dai cantieri solamente perché occorreva “riaprire il traffico” o “costruire un edificio” o “allestire un parcheggio” o “restituire la chiesa al parroco” e, sempre, con la consueta cantilena della mancanza di risorse umane e finanziarie. Così è avvenuto, in questi ultimi anni, che la Chiesa di San Giovanni fosse pavimentata, ricoprendo un complesso di ipogei e di altri manufatti architettonici, senza che fosse possibile eseguire nessuna indagine, analoga sorte hanno subito le ricerche archeologiche su Corso Mazzini e altre vie del centro storico, ed ancora in Villa Margherita e, ultimamente, sul sito della costruenda Cittadella Regionale dove, da un giorno all’altro, l’annuncio di importanti ritrovamenti (confermati sottovoce e privatamente da archeologi che hanno preso parte a quella campagna di scavi) è stato smentito da dichiarazioni provenienti da ambienti regionali (sic) e mai, dico mai, la competente Soprintendenza ha dato conto ufficialmente della reale entità dei ritrovamenti e dei reperti recuperati che, tra l’altro, sono finiti ad arricchire le collezioni del Museo di Lamezia Terme.

E’ questo il clima in cui le competenti Soprintendenze svolgono – ma il verbo è azzardato – la ricerca storica ed archeologica nel territorio catanzarese e, mentre in altre città calabresi non fanno mancare il loro apporto scientifico e finanziario, con risultati facilmente riscontrabili, ancora a Catanzaro lasciano che dettino legge le parole dell’archeologo francese François Lenormant che, nel 1881, nella sua opera “La Magna Græcia” scrisse “Catanzaro non è una città antica. Ovunque si scavi il suolo, non s’incontra mai un frammento di edificio risalente a secoli remoti, né un mattone romano, né un coccio, né una moneta”.

Quanto fossero azzardate queste affermazioni ci hanno pensato il tempo ed i ritrovamenti a smentirlo e, all’illustre scienziato che evidentemente condusse le sue ricerche leggendo il D’Amato e passeggiando sul Corso Vittorio Emanuele, vorrei parlare dei reperti protostorici (siamo nel periodo di Re Italo) ritrovati lungo la sponda catanzarese del fiume Amato, della lastra sepolcrale con iscrizione d’epoca romana rinvenuta nei pressi dell’attuale galleria del Sansinato, della necropoli con sepolture ad inumazione in località Cascioino, di altre tombe in località Barone che hanno restituito anche un cranio con infissa una freccia in bronzo, delle monete greche provenienti da scavi nel rione Grecìa, delle quattro tombe venute alla luce nei pressi della chiesa di san Francesco. 

 

La nota dell’Associazione Petrusinu ogni Minestsra

Le “Grotte di Diana” obbligano la politica ad intervenire sull’ambito archeologico e sull’istituzione delle Soprintendenze a Catanzaro.

Circa il “rumoroso”  ritrovamento delle grotte di Diana nei pressi del costruendo  Tribunale nuovo, Giambattista Vico direbbe “corsi e ricorsi storici”. Era infatti il febbraio 2005

quando la nostra associazione – in merito all’allora realizzando edificio tra il Musofalo e Via Pugliese (oggi completato e sede di uffici) – diramava il seguente comunicato che riportiamo stante la sua incredibile attualità:

“Stiamo seguendo in questi giorni la diatriba in merito al palazzo in costruzione nella zona di via Argento. Diciamo subito che la nostra vuole essere una riflessione costruttiva, non solo del caso specifico, ma una generale constatazione sullo sviluppo urbanistico della nostra città. Partendo dal caso in questione, non possiamo che esprimerci in modo contrario. Questa nostra avversità alla costruzione di questo edificio, si basa su alcune considerazione oggettive. La zona in cui si dovrebbe realizzare questo complesso edilizio, dovrebbe essere sottoposta a vincoli ambientali e archeologici. Ricordiamo che tutta la zona prospiciente, è caratterizzata dalle cosiddette Grotte di Diana, un complesso di caverne e cunicoli naturali che imperversano nella zona del Musofalo. Alcune di queste grotte si trovano nella zona del Tribunale nuovo. Ebbene non sappiamo se queste antiche testimonianze, siano state studiate o vincolate dalle preposte Sovrintendenze, ma questo non ci meraviglia affatto, visto come operano tali enti sul territorio di Catanzaro. Invitiamo tutti ad una semplice riflessione: un così corposo complesso di grotte naturali potrebbe necessariamente essere stato utilizzato in epoca preistorica dai primi insediamenti abitativi della zona. Ricordiamo, infatti, che la Calabria è una delle aree abitative più antiche del mediterraneo, i primi ominidi del mondo occidentale videro la loro presenza proprio nella nostra terra. A conferma di ciò, ci sono antiche testimonianze nelle grotte e caverne sparse per la regione. Ci salta alla mente la grotta del bos primigenius di Papasidero, i Dolmen delle Serre, l’elefante di pietra ed il guerriero della Sila greca, gli scheletri giganti di Tiriolo, i ritrovamenti preistorici di tutta la zona del Corace, e dell’antico fiume Zaro,  volgarmente detta Fiumarella (reperti bronzei dell’età Neolitica e del Ferro), ma anche il Musofalo non è stato esente da ritrovamenti di questo tipo. Basterebbe recarsi nel museo provinciale per avere certezza di ciò che stiamo dicendo. Ora aldilà delle semplici supposizioni, che se non provate da fatti e rilievi certi resterebbero solo ipotesi fantasiose, perché non fare degli studi approfonditi su queste grotte, prima che  il realizzando complesso edilizio potrebbe cancellare?”

 

A distanza di sei anni da quella nostra nota c’è qualche palazzo in più, ma di ricerche, studi e cantieri archeologici nel centro città nemmeno l’ombra. Anzi, quando si tentò di scavare sotto qualche metro di terra nel cuore antico di Catanzaro, gli archeologi furono ostacolati sia da politicanti ignoranti (sospinti da qualche “venditore di cianfrusaglie”) che da una Sovrintendenza insensibile e poco attenta alla storia del Capoluogo di Regione. Non vorremmo che questa nostra sensibilizzazione fosse l’ennesimo grido nel deserto. Auspichiamo pertanto la massima pubblicità sulle indagini che saranno effettuate dall’archeologo incaricato dal Comune per le Grotte di Diana e, contestualmente, un perentorio intervento politico sia per avere risposte in merito alle tante “questioni archeologiche” irrisolte o poco chiare del capoluogo, sia per sollecitare ancora una volta l’ubicazione nel capoluogo calabrese delle Soprintendenze regionali. Al di là dei fatti contingenti come quello che oggi si palesa sotto il nuovo Tribunale o sotto la Cittadella Regionale, la città necessità di studi approfonditi e di un approccio serio alla tematica storico-archeologica. 


Autore

Salvatore Ferragina

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