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Il Catanzaro spiegato a una turista scandinava

Scritto da Redazione

La casa al mare, il morzello e la memoria delle trasferte — Capitolo III

La casa al mare è una di quelle che profumano di origano, legno vecchio e ricordi.
Appartiene a uno degli amici di Salvatore, e ogni estate, almeno una volta, diventa il loro rifugio. Le finestre sono aperte, il mare di Copanello lo respiri a pieni polmoni, e in cucina — sul fornello a gas — un pentolone ribolle piano. Dentro c’è il morzello, quello vero, fatto a regola d’arte. Piccante, denso, rosso come la passione che li unisce.

Sul tavolo, coperta da un canovaccio, c’è la pitta calda, ancora fragrante, pronta ad assorbire tutto quel sugo di storia e di fuoco.

Ingrid è lì, seduta su uno sgabello, le gambe nude ancora sporche di sabbia, gli occhi che si muovono da un volto all’altro, cercando di assorbire ogni parola.
Salvatore le versa l’Illustrissimo in un piatto.
«Attenta. Brucia. Ma è buono. È Catanzaro anche questo»

Lei ride.
«Always Catanzaro»

Poi, come accade ogni volta, si comincia a parlare di trasferte, e la serata cambia ritmo.

«A Modena pioveva. Un’acqua che sembrava Dio stesse lavando tutto il nord» dice uno, con la voce piena di nostalgia.

«A Brescia invece no. A Brescia c’erano i nostri amici gemellati. Una fratellanza vera. Ci hanno accolto come fratelli, ci hanno cucinato, abbiamo cantato insieme. Mai vista una cosa così»

Ingrid li guarda come si guardano i cantastorie.
Poi Salvatore si alza, prende un sorso di vino, si avvicina al muretto con vista mare.
«E poi… c’è stata la Serie C» dice con un mezzo sorriso. «I campi polverosi. I campi senza segnaletica. Gli stadi che sembrano parcheggi delimitati da reti metalliche. Abbiamo giocato a Gavorrano, a Vibo, a Torre del Greco. A volte sembrava che la partita potesse essere interrotta per… nostalgia. Per tristezza. Ma noi c’eravamo. Sempre»

«Perché?» chiede Ingrid, seria.

Lui si gira, la guarda negli occhi.
«Perché non si tifa solo quando si vince. Il Catanzaro lo ami anche — forse soprattutto — quando non c’è niente da festeggiare. Perché siamo nati così. E se sei nato così, non ti salvi più»

La pioggia che cadeva a Modena, le sciarpe bagnate appese ai finestrini dell’auto, gli abbracci di Brescia, i campi di provincia dove non arrivavano le telecamere… tutto torna in quella cucina, tra l’odore del morzello e la fragranza della pitta.

E Ingrid, che ascolta in silenzio, si rende conto che non sta semplicemente partecipando a una cena.
Sta entrando in una famiglia. In un Popolo. In una storia collettiva fatta di dolore, orgoglio e fedeltà.

E quando Salvatore torna a sedersi accanto a lei, con il volto un po’ arrossato dal vino, lei gli prende la mano e dice piano, in un italiano ormai sempre più naturale:
«Anche se non c’ero… vi ho sentiti. Come se ci fossi stata»

Lui le sorride.
«E allora ci sei stata davvero»

Harp

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