C’era una volta il calcio. Quello dove Maradona segnava con la mano di Dio e nessuno andava a controllare i millimetri al monitor. Quello dove Collina sbagliava un rigore e se ne assumeva la responsabilità guardandoti negli occhi. Quello dove i tifosi esultavano senza aspettare il “check completato”.
Ieri sera al Ceravolo è andato in scena l’ultimo atto di questa metamorfosi: Catanzaro-Juve Stabia, ovvero come trasformare 90 minuti di sport in una seduta di psicanalisi collettiva.
Catanzaro, la città delle tre “V” – Vento, Vitaliano, Velluto, ha scoperto di averne una quarta: il VAR. La più implacabile, quella che non perdona e non dimentica mai.
Il nuovo calcio ha i suoi riti sacri. L’arbitro che attende la comunicazione dalla sala Var, come il folgorato sulla via di Damasco. I calciatori fermi come statue di sale in attesa del verdetto.
Hanno disegnato linee virtuali per un fuorigioco invisibile a occhio nudo. Due millimetri di differenza tra il gol e il niente. Due millimetri che separano l’estasi dalla depressione, il delirio dalla ragione. Come se la bellezza di questo sport potesse essere misurata col righello di un geometra.
Il paradosso è servito: in nome della giustizia abbiamo ucciso l’emozione. Per eliminare l’errore umano abbiamo eliminato l’umano. Resta l’errore.
I nuovi eroi del calcio non sono più i numeri 10 che inventano giocate impossibili. Sono gli operatori VAR, novelli oracoli di Delfi che decidono il destino delle partite da una sala asettica a centinaia di chilometri di distanza.
Il pubblico del Ceravolo ha imparato una nuova forma di sospensione emotiva: l’esultanza condizionale, la gioia a rate, l’amore interrotto per concessione di revisione. È il calcio dell’era dei social: tutto può essere cancellato con uno swipe.
Rimpiangere Maradona che segna con la mano non è nostalgia, è resistenza poetica. Perché quel gol raccontava una storia: furbizia, genio, umanità. Le linee del VAR raccontano solo matematica.
Il calcio romantico è morto nel silenzio assordante di uno stadio che aspetta. È morto nell’indecisione di un giocatore che non sa se esultare. È morto nella precisione millimetrica di una tecnologia che ha scambiato l’esattezza per la verità.
Mentre scriviamo, in qualche sala operativa stanno ancora analizzando frame per frame le azioni di ieri sera. Cercano la verità in 50 fotogrammi al secondo, la giustizia in pixel e algoritmi.
Ma la verità del calcio non era mai stata nella precisione. Era nel cuore che salta per un gol, nelle lacrime di gioia o rabbia, nell’ingiustizia che ti fa imprecare e poi tornare la domenica dopo.
Il VAR ci ha regalato la perfezione tecnica. Peccato che il calcio fosse bello proprio perché imperfetto, come noi.
Harp
Foto di Lorenzo Costa per UsCatanzaro.net


Complimenti alla Redazione articolo bellissimo se non addirittura commovente per chi è “umano” e non extraterrestre. Purtroppo cara Redazione è anche vero che con la classe arbitrale attuale, quasi sempre la peggiore in campo dei 23, non si può fare a meno della quarta V . Occorre trovare un giusto equilibrio tra i continui stop del var che ieri per esempio non finivano mai, mentre la Juve Stabia ringraziava, per le continue interruzioni del ritmo partita, e gli eclatanti errori degli arbitri.
Di certo guardando alcune partite del Catanzaro anni 80 ci si accorge quanto questo sia negativamente cambiato.