La serata di Empoli stava andando verso la sua conclusione naturale: la partita era finita, i tifosi del Catanzaro si stavano preparando per il rientro e lo stadio, piano piano, si svuotava. Il settore ospiti, come sempre, restava più vivo degli altri: qualche coro ancora nell’aria, un ultimo sguardo al campo, il tempo di ripiegare le bandiere prima di tornare a macinare chilometri. Sembrava tutto finito lì, nella routine di una trasferta che non regala particolari sorprese.
Poi, a qualche minuto dal fischio finale, è comparso Andrea Fulignati. Lo abbiamo visto prendere una direzione precisa, senza esitazioni: quella del nostro settore. Niente passi di circostanza, niente saluti generici verso il pubblico di casa, nessun gesto studiato. È andato dritto sotto il settore giallorosso, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
E quando è arrivato lì sotto, davanti a quei tifosi che ancora cantavano nonostante il risultato, si è fermato un istante e si è messo una mano sul cuore. Un gesto semplice, quasi istintivo, ma di una forza enorme se pensi a chi lo ha fatto, dove lo ha fatto e in quale contesto. Fulignati è nato a Empoli, è cresciuto a Empoli, gioca nell’Empoli, era circondato da casa sua in ogni dettaglio dello stadio. Eppure, nel momento più intimo della serata, ha sentito il bisogno di rivolgersi a noi.
Non c’era un clima da commozione organizzata, non c’erano telecamere puntate, non c’era nessun obbligo morale. C’era un ragazzo che ha vissuto due anni intensi a Catanzaro, che in quelle stagioni è cresciuto come portiere e come uomo, e che oggi, da avversario, sente ancora quel legame. Lo aveva già fatto a Cremona, lo ha rifatto a Empoli: in entrambi i casi, nulla di spettacolare, ma una sincerità che è impossibile non riconoscere.
Quello che colpisce non è tanto il gesto in sé, quanto il modo in cui lo ha fatto. Senza cercare attenzione, senza creare un momento costruito, senza voler apparire. È stato un istante naturale, quasi privato, in cui Fulignati ha parlato nella maniera più semplice possibile: non con le parole, ma con il cuore. Ed è proprio questo che lo rende significativo. Perché quando un giocatore torna verso il settore della sua ex squadra nella città in cui è nato, davanti ai suoi, e fa quel gesto, vuol dire che dentro gli è rimasto qualcosa che non si cancella.
La serata, che sembrava destinata a restare una nota stonata, cambierà colore nei ricordi di chi c’era. Rimarrà questa immagine: un portiere empolese, nel suo stadio, con la sua maglia, che però trova il modo più sincero per salutare Catanzaro. Niente parole inutili, nessuna retorica, solo un gesto che appartiene a chi ha vissuto davvero un pezzo della nostra storia.
E alla fine è questo che conta: ci sono giocatori che cambiano maglia e basta, e altri che, anche a distanza, continuano a portarsi dietro quello che hanno vissuto. Fulignati lo ha dimostrato nel modo più vero possibile, con quella mano sul cuore che vale più di qualsiasi discorso. Perché certe cose restano, e si vedono nei momenti in cui nessuno te lo chiede. E Catanzaro, dentro di lui, si vede che c’è ancora.
Harp


❤️💛❤️💛❤️💛❤️🔝 grazie
Grande Fuli
Non capisco perche’ nel primo tempo sembravamo una squadra di pellegrini in vacanza. Abulici e per niente fluidi con la palla che scotta tra i piedi e non sapere cosa fare.
Nel secondo tempo un po’ meglio. Ma insomma volete.darvi una svegliata volete tirare fuori i gabasizi. Oggi si e’ persa un’occasione.
Fulignati our hero!