Intervistiamo

Appello di un detenuto dal penitenziario di Siano

Sono in carcere, aiutatemi a guarire dal linfoma di Hodking

 

Il carcere è di per sé un “non luogo”. Niente della vita che si svolge al suo interno è paragonabile alla vita reale, quella di fuori, quella che viviamo ogni giorno. Hanno riempito di luoghi comuni la testa della gente, che è portata a pensare che in “carcere si stia bene”, “che c’è anche la televisione”. 
Il carcerato odia tutto all’interno della struttura, anche la più bella che possa esistere, odia quindi anche la televisione e tutto ciò che possa far sembrare “normale” un luogo che invece non lo è. 
Perché tutto è anormale in un carcere, dalla mattina alla sera. Regole esistenti all’interno delle carceri ancora oggi sono di origine borbonica. 
Niente è libero dentro ad un carcere, niente è vivibile. Nel carcere di Siano, in provincia di Catanzaro, vi entrai nel 2007 al seguito dell’allora deputato di Rifondazione Comunista Francesco Caruso. Una struttura fatiscente, che avrebbe bisogno di una continua manutenzione che non c’è mai, perché come disse a noi visitatori, l’allora direttore, il ministero destinava ogni anno solo 17 mila euro, che non servivano neanche per cambiare le lampadine.  
Lo spettacolo che ci si presentò allora fu desolante, e spero che qualcosa sia cambiata a distanza di qualche anno. Ma ci credo poco. Piccoli erano i cortili del passeggio dove neanche entra il sole durante le ore di passeggio, piccole le celle, con piccole finestre, piccolissima la sala di riunione dove addirittura le finestre sono blindate e dove ci si sta stretti pur di avere un minimo di socialità completamente inesistente, e così penso che sia rimasto. 
Allora non c’era una palestra, né una biblioteca, e così penso che sia oggi, mentre spero che gli ascensori siano  funzionanti e così i  riscaldamenti. Nella riunione che i deputati e gli accompagnatori facemmo  con i detenuti le voci più arrabbiate si focalizzarono proprio sulle strutture. 
Un detenuto con problemi di deambulazione non poteva scendere dal quarto piano al passeggio, per cui risultava murato vivo nella sua cella. Un altro che soffriva di claustrofobia non poteva frequentare la sala riunione perché le finestre erano blindate inutilmente mentre quelle delle celle erano a metà chiuse. 
In questo carcere è finito dopo un lungo iter, il giovane 34enne Alessandro Cataldo, arrestato nel ambito dell’Operazione Overloading, il 2 dicembre 2010. 
Alessandro è sposato ed ha due figlie. Non interessa di cosa sia accusato. Avrà un processo, ha un avvocato e speriamo che possa dimostrare la sua estraneità sulle cose di cui è accusato. La notizia è un’altra, è grave, e dimostra il grado di insensibilità esistente oggi , che è sempre garantista con i potenti di turno e spietato con i deboli. Garantista con i politici principalmente. Commettono reati gravi contro l’amministrazione pubblica, rubano milioni di euro, e restano liberi. 
Per un ragazzo come Alessandro, proveniente da un piccolo paese di provincia qual’è Cetraro, appena arrestato , è stato tradotto nel carcere di Vibo, poi venne trasferito a Crotone, poi ancora a Viterbo infine, almeno al momento che scriviamo a Catanzaro, nel carcere di Siano. 
Dopo qualche settimana dal suo arresto, Alessandro ha avvertito dei forti dolori al collo. Chiese più volte accertamenti e visite specialistiche alla direzione delle carceri nelle quali si trovava, senza mai ricevere nessun controllo. 
Solo dopo l’interessamento dei propri familiari, Alessandro riceve la visita del dott. Ciardullo il medico di famiglia, di Cetraro che a spese della famiglia riesce ad avere un incontro. 
Il dott. Ciardullo certifica la presenza di alcuni noduli e chiede che venga fatta una Tac. Cosa che Alessandro fa all’ospedale di Germaneto. Dalla Tac, il dott. Brusco dell’ospedale di Cetraro chiede che venga fatta una biopsia. La richiesta venne fatta nel mese di gennaio e solo il 27 febbraio Alessandro riusciva a fare questa importantissima analisi che rilevò il 27 marzo scorso  la presenza  del linfoma di Hodgkin di primo grado. A questo punto la presenza in carcere di Alessandro diventa incompatibile, in quanto per combattere il male c’è bisogno di cure specialistiche quali la chemioterapia e la radioterapia che naturalmente non può eseguire stando in una struttura come è il carcere. L’avvocato Bruno del foro di Paola, difensore di Alessandro ha subito chiesto gli arresti domiciliari e la possibilità che possa curarsi ma ad oggi, 25 aprile, anniversario della liberazione, nessuna risposta è giunta né ai familiari, né ad Alessandro che vivrà sicuramente momenti terribili chiuso nella sua cella. E proprio in occasione del 25 aprile dal carcere di Siano è uscita questa lettera scritta da Alessandro. Una richiesta di aiuto che in un paese civile non dovrebbe assolutamente venire da una struttura carceraria.
APPELLO DI FRANCESCO CIRILLO AMBIENTALISTA PER ALESSANDRO CATALDO  DI CETRARO PERCHE’ POSSA CURARSI.

SONO IN CARCERE. AIUTATEMI A GUARIRE DAL LINFOMA DI  HODGKIN
Catanzaro, 24 aprile 2012
Egr. Sig. Direttore
Mi chiamo Cataldo Alessandro, nato il 23/7/1977 a Cetraro (CS). Sono un detenuto dal 2 dicembre 2010 per l’operazione Over Loading e quindi da un anno e mezzo detenuto e praticamente da otto mesi nel carcere di Siano in attesa di un processo.
In questi otto mesi ho riscontrato un disturbo che mi portava dolore al collo e quindi dopo aver fatto tutti gli esami specifici, il 27 marzo 2012 sono venuto a conoscenza tramite il dirigente sanitario che il disturbo dipendeva da noduli, cioè tumore e quindi io dovrei urgentemente essere sottoposto a chemioterapia ed altre cure specifiche. Però ad oggi, 24 aprile 2012, nessuna di queste terapie essenziali mi è stata applicata. Io, con questa missiva mi appello alle istituzioni competenti o chi di dovere per risolvere il mio drammatico problema che essendo ristretto in carcere non ho nessuna possibilità di curarmi cioè un diritto che in un paese civile mi toccherebbe a livello di umanità e diritto alla vita.
Inoltre, per quello che riguarda la mia posizione giuridica sono ancora giudicabile e quindi avendo una custodia cautelare non colpevole fino al terzo grado di giudizio, e pure che io fossi un condannato, sarebbe sempre un mio diritto come essere umano curarmi di un male perché non capisco per quale motivo le istituzioni competenti alla mia posizione giuridica e sanitaria non prendono decisione sul da farsi mandandomi o in un centro per cure specifiche oppure dando a me la possibilità e l’autonomia di andarmi a curare in una clinica o un centro apposito.
Con questo mio scritto non voglio esonerarmi da nessuna responsabilità penale che potrebbe esserci  su di me. La ringrazio per  essere stato ascoltato e spero che al più presto qualcuna delle istituzioni a cui mi sono appellato mi dia risposta.
                                                                                           Alessandro Cataldo
                                                                              Casa Circondariale di Siano (CZ)
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Con questo chiedo la pubblicazione di questo mio scritto o un suo intervento a questa mia problematica.
Oltre 100 detenuti l’anno muoiono per “cause naturali” nelle carceri italiane. Raramente i giornali ne danno notizia. A volte la causa della morte è l’infarto, evento difficilmente prevedibile. Altre volte sono le complicazioni di un malanno trascurato o curato male. Altre volte ancora la morte arriva al termine di un lungo deperimento, dovuto a malattie croniche, o a scioperi della fame.
A riguardo di questi ultimi casi, va detto che i tribunali applicano in maniera molto disomogenea le norme sul differimento della pena per le persone gravemente ammalate (art. 146 e art. 147 c.p.) e, spesso, la scarcerazione non viene concessa perché il detenuto è considerato ancora pericoloso, nonostante la malattia che lo debilita.
L’articolo 1 del Decreto Legislativo 230/99, sul riordino della medicina penitenziaria stabilisce che: “I detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali ed in quelli locali”. Nel 2011 i morti in carcere per suicidio e malattie non curate sono stati 186, nel 2012 fino ad aprile sono stati 57. Dati allarmanti che dimostrano il grado raggiunto della nostra civiltà, come diceva Voltaire.

 

 

Articolo tratto da: http://rossocetraro.blogspot.it

Autore

Salvatore Ferragina

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