Implacabile novembre. Imprevedibile martedì 29 novembre.
Arriva fulminea la notizia dell’aereo partito da Bogotà che si è schiantato nelle vicinanze della città colombiana di Medellin. Indagini in corso sulle cause: dallo scalo forzato in Bolivia per guasto tecnico, alla mancanza di carburante e successiva perdita di contatti con la torre di controllo.
Su quel volo viaggiava la squadra della città brasiliana di Chapecò che milita nella serie A del campionato brasiliano. Una tragedia che inevitabilmente ci rimanda a Superga.
Sono 71 le vittime di quel volo maledetto, tra cui 21 giornalisti e 9 membri dello staff. A sopravvivere solo 3 giocatori, 2 dello staff e 1 giornalista. Una tragedia immane che destato commozione in tutto il mondo.
Appena 6 giorni prima la Chapecoense aveva festeggiato la vittoria della partita che gli era valsa l’ammissione alla finale contro i colombiani dell’Atletico Nacional.
(L’esultanza della Chapecoense dopo la qualificazione alla finale di Coppa)
Per la prima volta si sarebbero giocati una finale di questa importanza della Copa Brasileira. Di riflesso, quando si verificano fatti come questo, si tende ad immedesimarsi nei protagonisti della tragedia, nel caso italiano a rivivere i momenti del Grande Torino del 1949.
La dinamica è la stessa: guasto, scalo e schianto. Un’intera generazione di campioni spazzata via per sempre. I granata, reduci dalla vittoria di cinque campionati consecutivi, rientravano dal Portogallo dopo un’amichevole col Benfica. I brasiliani erano alla vigilia della partita più importante della loro storia.
In entrambi i casi, inoltre, la vittoria della competizione assegnata a tavolino. Proclamati tre giorni di lutto nazionale e gli stadi brasiliani colorati di verde e bianco.
Nonostante i pronostici che li vedevano partire da sfavoriti, la voglia e l’entusiasmo registrati negli ultimi filmati postati sui social, devono essere fonte d’ispirazione per tutti i seguaci del Dio pallone. Specialmente per chi come noi, pubblico e compagine giallorossa, si trova nel limbo del campionato e nell’oscurità di un futuro incerto.
C’è sempre spazio per una profonda riflessione, e intendo nell’accezione aristotelica del concetto. Quando con consapevolezza analizziamo il senso e lo scopo del nostro muoverci giorno per giorno, in questo caso di cosa parliamo: calcio o vita?
Sabato abbiamo giocato la nostra partita e portato a casa l’ennesima sconfitta, registrato critiche e una martellante contestazione. Ieri era domenica, il giorno del rito laico che si svolge negli stadi. Un prato verde, un pallone che rotola, ventidue casacche sulle quali si riversano speranze e illusioni.
Dall’altra parte del mondo una squadra non ha giocato la sua partita. E a pensarci, anche le miserie del nostro microcosmo giallorosso appaiono di colpo tollerabili.
Dora Dardano