Dalla Redazione

L’abbraccio allo sconosciuto accanto

Scritto da Redazione
Il ritorno delle emozioni al Ceravolo nell’era Cosentino

All’una di notte Catanzaro dorme il sonno che merita.

Il vecchio militare con le sue ferite aperte se ne sta al posto di sempre, buio e silenzioso. Le urla, i cori, il boato dei petardi, persi chissà dove. Guardo i cancelli chiusi, tocco il ferro e la pietra prima di rientrare a casa.

Per scrivere della giornata vissuta avevo bisogno di un momento così. Un goal al novantesimo può instupidire chiunque, renderlo irrazionale, trasformarlo in qualcosa che non è.

Eppure un goal al novantesimo è innanzitutto la metafora di una vita complicata ma vissuta fino in fondo. Fino a quando un arbitro magari ingiusto e apparentemente dispotico, decide di decretarne la fine. E allora anche per me vale il pensiero che Salvatore Ferragina e Ivan Pugliese hanno rivolto a , amico di questa comunità così preziosa.

Metà della mia faccia ora è abbrustolita dal sole, la gola è in fiamme e l’ugola domattina presenterà in procura una denuncia per sfruttamento; ma è tutto perfetto, ogni cosa al suo posto, anche se chiaramente non può esserlo davvero per ognuno di noi. Il miracolo comunque è compiuto ancora. Questa mini-vita travestita da stagione calcistica, che nasce ad agosto e muore in maggio per poi rigenerarsi all’infinito, è riuscita ancora una volta a sostituirsi, forse anche solo per poche ore, alla nostra finita, incerta e avventurosa esistenza. 

Abbiamo accettato un’altra volta di concederci al Catanzaro, senza vergogna o compromessi, senza paura, senza alcun dubbio. Perchè a Catanzaro siamo nati o ci sono nati i nostri genitori. Perchè col Catanzaro siamo nati, una volta per tutte, “tifosi”.

Allora penso a Claudio, che di domenica mattina a Milano guarda il piazzale di San Siro con quelle sciarpe rossonere tutte intorno e immagina di stare davanti ai botteghini del Ceravolo: i suoi colori davanti agli occhi, i cori per la sua piccola patria nell’aria. E penso a Gianni dal lontanissimo Giappone, che per la tensione quasi rinuncia alla radiocronaca della partita decisiva, senza averne mai persa una prima, nonostante il fuso orario. Penso a Lorenzo dall’India, e all’urlo che questa volta gli sarà costato almeno un paio d’ore di galera. Penso a tutti i tifosi lontani, perchè quasi sempre lontano ci sono anch’io.

Ed è con un senso di responsabilità a metà fra un portabandiera olimpionico e Masini sul dischetto del rigore che sono entrato al Ceravolo quest’oggi, quasi due ore prima del fischio d’inizio.

Ho visto lo stadio riempirsi, ho ascoltato il dialetto di Petilia Policastro e l’inflessione inconfodibile di Vibo e Filadelfia,  ho ammirato lo striscione di Decollatura, lo stendardo di Savelli, la “pezza” di Girifalco. Vecchi tifosi che hanno visto Platini sfidare Palanca e tifosi “nuovi” invecchiati in quarta serie, tutti insieme ad aspettare. 

Quando la partita inizia, quasi la voce non vuole saperne di uscire decentemente per intonare un coro. Ho l’impressione di essere bloccato, e forse a giusta ragione lo siamo un po’ tutti. Solo un anno fa si organizzava la giornata dell’orgoglio giallorosso, solo un anno fa, quegli stessi tifosi che ora sono accanto a me o chissà dove a soffrire per una partita di pallone, “ci mettevano la faccia“.  L’esercizio di memoria è quantomai necessario, perchè quell’uomo che in molti evocano sugli spalti, quell’uomo in Cina per affari, il nostro presidente Cosentino, è il primo artefice di tutto ciò.

La partita scorre come un fiume in piena per novanta minuti e lungo il percorso ha ovviamente le sue fasi, i suoi punti di ripide e quelli di quiete. Sirignano cade e si rialza molte volte, senza arrendersi mai. Papasidero fa venir voglia di scendere in campo ad abbracciarlo per quanto è umile e sicuro. Giampà continua nel suo ruolo di garante della passione giallorossa. Tutti, nonostante le difficoltà della partita, corrono e sudano per la maglia. “Jetta u sangu”, si legge sopra uno stendardo.

La terna arbitrale annulla due goal ma nulla può contro la voglia di vincere di un pubblico che negli ultimi dieci minuti si lascia tutto alle spalle e comincia a cantare come mai prima chiedendo la rete. Quando D’Anna trova il tocco perfetto è il novantesimo. Qualcuno si lascia cadere per terra, i più saltano all’impazzata, urlano parole incomprensibili, guardano in cielo. C’è anche chi piange, perchè c’è sempre chi piange quando c’è di mezzo il Catanzaro.

Io abbraccio mio padre, poi il nostro Ivan, poi ancora un perfetto sconosciuto con i capelli rossi e un figlio piccolo che chissà quando dimenticherà questa partita. Respiro a fatica…non si può allo stesso tempo urlare “goal”, saltare come per il ballo di San Vito, intonare un coro e muovere la sciarpa a più non posso, senza una preparazione fisica adeguata.

I lametini se ne stanno immobili in curva est. Immagino lo sconforto che li attanaglia, e nonostante il “pessimo carattere” di alcuni fra loro non riesco ad infierire, perchè in qualche modo li sento troppo simili a me ed ai miei vicini di curva. Fossero stati cosentini, sarebbe stato tutto più semplice. 

Quando la festa ha inizio, in molti stendono la propria sciarpa, mostrandola orgogliosi ai nostri calciatori ormai spogliati delle loro maglie. Come quel ragazzo nel video della “Giornata dell’orgoglio” di un anno fa (vedi sopra), ma con una dose per nulla eccessiva di gioia pura dentro il cuore.

E sì, abbiamo ripreso ad abbracciare per un goal segnato lo sconosciuto accanto…

Fabrizio Scarfone

f.scarfone@uscatanzaro.net

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