Intervistiamo

L’Espresso: così si sposano i mafiosi

Castelli in affitto. Banchetti con mille invitati. Sfarzo, spese folli e auto di lusso. I matrimoni dei boss della ‘ndrangheta documentati per la prima volta da L’Espresso. Il servizio esclusivo in edicola oggi

L’albergo di Mandatoriccio mare, in provincia di Cosenza, spesso sede di matrimoni mafiosi

I matrimoni in Calabria di ‘ndranghetisti o figli dei boss si trasformano non solo in strette alleanze fra i clan ma in veri e propri summit mafiosi dove partecipano anche i latitanti. Adesso «l’Espresso» può documentare tutto ciò. Sul numero in edicola oggi il settimanale pubblica un ampio servizio giornalistico e fotografico dopo che il cronista s’è infiltrato nei banchetti di nozze che spesso si trasformano in veri e propri raduni di mafiosi. Si vedono scene da film, come quelle che abbiamo documentato fotograficamente lo scorso luglio in un ristorante nei pressi di Vibo Valentia, durante il matrimonio di una coppia di rampolli della cosca Bonavota di Sant’Onofrio. Fra i 650 invitati c’erano sicuramente incensurati, ma anche rappresentanti di molte cosche calabresi, i cui uomini hanno individuato gli “intrusi” de “l’Espresso”: lì c’erano persone che non potevano essere fotografate.

Sono i matrimoni d’onore i cui banchetti di nozze, anche con mille invitati, si svolgono spesso pure in castelli in affitto realizzati sulla costa ionica o tirrenica e dove lo sfarzo, le spese folli e le auto di lusso sono i punti cardini della festa. Si sposano così i boss della ‘ndrangheta e i loro figli.

Tutti indossano capi nuovi di zecca, facendo a gara per sfoggiare firme di stilisti all’ultimo grido. Non importa se il fisico non è da modelli: gli uomini mettono in vista grosse pance e le donne rotoli ai fianchi. Ma è il marchio griffato che conta. Anche in questo caso, il dress code scarseggia in charme e abbonda in sperperi: i maestri della moda inorridirebbero nel vedere le loro creazioni infilate in quel bailamme di signore sovrappeso e picciotti panciuti. Per di più mafiosi. E chi non può permettersi questi capi ricorre a squallide imitazioni. Dalle indagini dei carabinieri del Ros emerge come il nipote di un boss per partecipare al matrimonio di un amico sfoggiasse scarpe in pelle di coccodrillo da tremila euro su consiglio di una boutique di Roma. L’unico obiettivo è stupire, far vedere quale sia la ricchezza del clan che organizza le nozze. E il banchetto nuziale dura anche dodici ore.   

Nel disporre gli invitati, però, si ricorre a grandi accorgimenti. Più che matrimoni, sembrano feste di paese. Ogni banchetto ha una zona separata, dove è vietato fare foto o filmati. Lì i tavoli sono organizzati secondo l’appartenenza alle cosche: al centro il capo, intorno affiliati e consorti, ai lati i guardaspalle. A loro volta, poi, i tavoli di clan sono raggruppati in base alla “provincia” mafiosa a cui fanno riferimento. In pratica, una mappa vivente degli organigrammi criminali. I mafiosi regalano agli sposi somme di denaro. Li infilano in buste bianche che vengono raccolte in un forziere sistemato sul tavolo nuziale. A questi banchetti ogni tanto partecipano anche i latitanti. E per evitare sorprese c’è una rete di sorveglianza, con vedette pronte a dare l’allarme in caso di movimenti sospetti o iniziative delle forze dell’ordine. Trent’anni fa i mafiosi siciliani puntavano anche loro tutto sui banchetti di nozze, mostrando potenza e alleanze e invitati eccellenti. Ma in Calabria, oggi li superano.

http://espresso.repubblica.it

Autore

Salvatore Ferragina

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