Petizione a Praia: “Gino Strada, apri un ospedale in Calabria”

 

Se Gino Strada accettasse di realizzare un ospedale di Emergency a Praia a Mare, come implora una petizione popolare di cittadini calabresi lasciati senza difesa della propria vita, compirebbe un atto platealmente e letteralmente rivoluzionario. Riuscirebbe a dimostrare, e questa volta senza alcuna possibilità di equivoco, il grado di delinquenza di un intero sistema che macina soldi per sfornare corpi inanimati e persi nei corridoi delle case della salute. Quell’ospedale da campo sarebbe la migliore forma di resistenza civile, la testimonianza permanente della nullità dello Stato, ridotto a brandelli da bande criminali che lo uccidono ogni giorno dal suo interno.

Chiamerebbe tutti noi a spalancare gli occhi davanti alla più crudele delle verità. Se la sanità sfascia i corpi invece che aggiustarli, è anche perché, prima ancora della politica, chi è chiamato a sorvegliare la nostra vita e rianimarla quando è in pericolo, sostenerla quando siamo più deboli e più soli, ritiene che questa sia oramai una sua merafacoltà, attoindividualepossibile, sperabile, ma non certo, dovuto, obbligato. È ora di dirla questa verità: se esiste, in Calabria come altrove, una classe politica spregiudicata e inetta che sulla salute gonfia il portafogli e la lista delle clientele è perché tra le corsie dell’ospedale, accanto a chi fa il proprio dovere con cura e devozione, vive e si espande una delinquenza minuta e personale di chi ruba dignità e speranze a colui che giace indifeso nel letto.

In alcuni ospedali (in troppi, secondo me) persino le pratiche più modeste, la qualità minima dell’accoglienza, la disponibilità a informare l’ammalato sulle sue condizioni, appaiono certezze indefinibili, possibilità potenziali. In quanti ospedali la pulizia del corpo, l’acqua e il sapone dico, sono sottoposti al rito estorsivo dei soldi? Servono 14 euro fuori busta, e chi scrive è stato testimone oculare e sbigottito di questa pratica disumana per ottenere il minimo rispetto alla propria dignità. E nei Pronto soccorso, in quelle caldare di dolore e umiliazione che sono gli stanzoni d’attesa, il numero degli indifferenti, dei crudeli contatori della vita e della morte, raggiunge una cifra ancora troppo elevata. Esiste una sproporzione inaccettabile tra chi sacrifica ogni energia alla propria missione e chi ruba lo stipendio e la dignità altrui, la vita altrui. C’è una ragione, purtroppo, se le corsie d’ospedale sono divenute l’unico luogo in cui resistono ancora le sezioni di partito. Perciò le tende da campo di Emergency non in Afghanistan ma a Praia a Mare, Italy, restituirebbero alla nostra speranza e alla nostra dignità un futuro, la possibilità di interrogarci ancora e riuscire ancora a indignarci.

E tornare a combattere, a denunciare, a essere inflessibili iniziando, stavolta, a indicare l’indecenza di chi è intanto pagato per assisterci e non lo fa convinto che esista sempre un assessore affarista e colluso a cui chiedere copertura, e che il mondo non possa cambiare, non debba cambiare mai.

Antonello Caporale, Il Fatto Quotidiano

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