Serie Bevute per Arezzo-Catanzaro

Ritorna la rubrica di Nicolò Ditta

Se negli anni 60 o 70 avessimo visitato le cantine di tutta Italia, avremmo trovato una situazione totalmente diversa da quella di oggi così come 10 anni fa.
Avremmo trovato grandi vasche di fermentazione in cemento invece che di acciaio inox, presse meccaniche verticali invece di più moderne e funzionali presse orizzontali pneumatiche, grandi e vecchie botti di castagno invece delle più nuove barriques di chiara importazione francese.
Certo non è tutto oro quello che luccica ala fiera. Ci sono cantine di produttori che hanno un concentrato di tecnologia maggiore di un bombardiere stealth…

Quando i latini dicevano che “in medio stat virtus” non sbagliavano. Io almeno sono per un’idea di azienda vinicola che rispetti la tradizione pur non facendosi scappare le innovazioni che il progresso ci mette a disposizione.

Un piccolo cenno a quanto ho detto sopra.
Le vecchie vasche di fermentazione in cemento sono sicuramente meno sicure e “igieniche” rispetto all’acciaio inox.
Le vasche in acciaio ci permettono di controllare meglio la temperatura di fermentazione ed evitare che il mosto si riscaldi troppo provocando effetti indesiderati nel vino.
Il mosto se riscaldato cede più sostanze (stesso discorso dell’olio). Se invece si mantiene la temperatura a valori costanti senza farle subire sbalzi (comunque normali visto che la fermentazione genera anche calore), si permette al mosto di tirare fuori dei profumi che sono molto più “dolci” e rotondi.
Invece delle sensazioni amare e “acide” che si tirano fuori se la temperatura si alza troppo.
Riguardo le presse, una pressa meccanica ovviamente “pressa” (lo dice la parola stessa) tra due superfici fisiche che “spappolano” le bucce e tirano fuori le sostanze acide e amare della buccia stessa. La forza di gravità fa anche in modo che le “fecce” ovvero i residui della pressatura, si depositino verso il fondo della pressa stessa, andando a finire nel mosto che viene separato intorbidendolo e rovinando comunque il vino.

La pressa pneumatica provoca uno schiacciamento della buccia attraverso un aumento della pressione che provoca la rottura della buccia. In più, visto che è orizzontale le fecce si depositano sul fondo il che ci permette di aspirare quello che comunemente si chiama “mosto fiore” ovvero quello più delicato.

Discorso diverso per le botti. Il legno normalmente usato in Italia era il castagno. Il Rovere è tipico della Francia. La differenza è che il castagno non fa invecchiare il vino, invece il rovere si.

Ho visto una cantina completamente rivestita in acciaio, con pavimenti in cotto, le barriques allineate col decimetro, roba che nemmeno un sergente dei marines avrebbe fatto di meglio… ho visto una cantina a temperatura e tasso di umidità controllata, che ti permette di conservare le tue bottiglie da loro, e se ti colleghi tramite internet puoi vedere che temperatura e che tasso di umidità c’erano in quella cantina ad esempio il 16 maggio 2004 alle 17,50 circa…
Dove eravamo noi sicuramente faceva molto ma molto più caldo!

Ma lasciamo da parte i ricordi, lasciamo da parte le vecchie e maleodoranti cantine, lasciamo da parte le nuove e moderne cantine degne di un albergo a 5 stelle e gustiamoci una Buona bottiglia di vino. Cerchiamo di ritrovare nel vino il piacere di un alimento che è anche “amore del gusto” e ricerca di nuove e sempre diverse sensazioni
E visto che siamo in Toscana, una “Fiorentina” al sangue, i fagioli al fiasco conditi con un filo di extra vergine d’oliva, e un bicchiere di Buon vino.
Il resto, ve l’assicuro, passa in secondo piano.

Ma ora brindiamo, in alto i calici e buona Serie Bevute!

Nicolò Ditta

Per informazioni critiche o suggerimenti, tranne soldi o bottiglie di vino, scrivetemi pure a uctrapani@uscatanzaro.net

Serie B…evute per Arezzo – CATANZARO

Le mirabili avventure di Nicolò Ditta fanno tappa ad Arezzo

Proviamo a chiudere gli occhi… pensiamo alla Toscana… le immagini che ho di fronte a me parlano di terreni coperti da bionde spighe; di spiagge lunghe bagnate da un caldo mare; di distese di terreni coltivati ora ad ulivi, ora a vigneto; tutti paesaggi rurali in cui il silenzio viene interrotto dal frinire dei grilli mentre una folata di vento caldo accarezza le bionde spighe.

Una visione certamente poetica e rilassante oltrechè confortante. Magari come lo è stata la prestazione delle aquile in quel di Pescara nell’immediata vigilia della trasferta di Arezzo, sperando che sia di buon auspicio.
Godiamoci quindi la trasferta per passare una fine settimana all’insegna del riposo e del relax.

Chiudiamo di nuovo gli occhi ed immaginiamoci in un agriturismo della bella campagna toscana.
Siamo in primavera, le maniche della camicia si arrotolano sotto i primi raggi del sole, c’è una tavola semplice, di legno, di fronte a noi e una bottiglia di vino. Anche qua il vino è rigorosamente rosso. Siamo nella zona del “Chianti dei colli Aretini”, una delle sottozone in cui è divisa la zona di produzione del Chianti.
I bicchieri sono quelli semplici che si trovano in qualche piccola osteria o nelle trattorie a conduzione familiare. In fin dei conti anche il Chianti è un vino semplice, da tutti i giorni. Basti pensare che ne fanno parte anche delle uve bianche, in particolare del trebbiano. Un vino del genere è semplice, fresco, immediato e non adatto a un lunghissimo invecchiamento.
Un vino del genere è un vino che si può bere a temperatura ambiente, ma che d’estate, quando il caldo ci soffoca, può anche essere messo per qualche minuto in fresco giusto per fargli perdere due o tre gradi di temperatura che recupererà immediatamente quando sarà messo nel bicchiere.

L’antipasto è già a tavola. Un bel tagliere pieno di salumi e formaggi ci aspetta. Ne tagliamo qualche tocco e lo accompagniamo con delle fette di pane sciapo toscano. Seguono degli splendidi crostini di fegatini, magari una bruschetta al pomodoro o alle olive o al tartufo, o la più semplice aglio e olio, o con del lardo…

Basterebbe già questo a placare la fame ma è solo l’inizio. Ci prepariamo al pranzo vero e proprio.
La cucina aretina è quella tipica rustica toscana, a base di arrosti alla brace e alla griglia, cacciagione e volatili.
Tra i primi tipici della zona di Arezzo le Pappardelle all’aretina con un denso sugo di lepre, e gli “Gnocchi del Casentino”a base di ricotta e spinaci. Seguono la zuppa di pollo, l’anatra, il pollo grigliato, ma anche un piatto a base di pesce, l’anguilla all’aretina, che viene tagliata a pezzi e quindi infilzata in uno spiedino con pane e foglie di salvia. Come contorni troviamo i carciofi ripieni, il sedano fritto ed infornato, le schiacciate e il pane di ramerino.
Sapori semplici e schietti. Cibi di persone abituate a stare nei campi e a lavorare sodo la terra.
Ma questa era la realtà di qualche decennio addietro.

Oggi i vini toscani cui accompagnare i piatti che ho citato ma anche tutti gli altri sono profondamente cambiati. I vini toscani sono oggi sinonimo di grandi vini che hanno varcato i confini della nazione e si sono imposti nei mercati mondiali come alcune tra le migliori espressioni in quel campo.
Lasciando il Chianti, classico e non, di cui avevo parlato nell’articolo relativo alla trasferta di Empoli, vorrei parlare delle altre grandi realtà vinicole toscane.

Mi riferisco alle “Loro Maestà”, il Brunello di Montalcino; Il Nobile di Montepulciano; e gli ultimi arrivati, il Carmignano e la Vernaccia di San Gimignano.
Uva principe del territorio in tutti questi vini, tranne la vernaccia che è un bianco ed è data dall’omonima uva, è il Sangiovese.
Un’uva che nei suoi vari cloni, o sottovarietà se preferite, può essere considerata quasi il simbolo dell’enologia nazionale, lo si trova, infatti, su tutto il territorio nazionale con qualche piccola esclusione.

In particolare, un cenno lo dobbiamo al “sangiovese Grosso” detto anche “Brunello” che dà origine all’omonimo vino a Montalcino.
L’aggettivo “Grosso” non deriva dalla grandezza dei suoi chicchi che sono invece più piccoli del “normale Sangiovese”, ma dallo spessore della sua buccia che è molto più ricca di sostanze e di tannini che rendono il vino molto più corposo strutturato e longevo degli altri.

Il Brunello di Montalcino nasce nel 1880 circa ad opera di Ferruccio Biondi Santi. E questa è la vera data ufficiale.
Quando mi avvicinai al mondo del vino, nel 1994, lessi in una rivista il servizio di una tra le più incredibili degustazioni cui avrei voluto partecipare.
Una verticale di splendide annate: 1988 – 87 – 85 – 83 – 81 – 75 – 71- 70 – 68 – 64 – 55 – 45 – 25 – 1891 – 1888.
Il 1888 è la più vecchia, ad oggi dovrebbero essercene 2 o 3, e una di queste non potrà mai essere aperta per decreto del Presidente della Repubblica che la riconobbe di interesse nazionale.
Non vi annoio con notizie inutili e altri aneddoti, ma se voleste sapere qualcosa di più andate a questo link: http://www.biondisanti.it/Home%20page.html e ciccate in basso alla fotografia dove c’è scritto 1888.
Troverete qualche bella notizia e soprattutto una bellissima foto della bottiglia del 1888.

Il Vino Nobile di Montepulciano nasce su una collinetta di fronte a Montalcino da un altro clone di Sangiovese detto “prugnolo Gentile”.
È un vino che nei secoli si è conquistato sempre maggiore fama grazie alla qualità e alla longevità dei suoi vini. Dà luogo a un vino che fa del frutto e della rotondità la sua arma vincente.

Il Carmignano nasce invece nella zona di Prato. Anche in questo caso la fa da padrone il Sangiovese anche se in uvaggio con cannaiolo nero e/o cabernet. Un vino da arrosti con spiccate note di vinosità e di fiori rossi.
Questi sono i grandi vini tradizionali della Toscana.
Accanto a questi negli ultimi anni (fine anni 70 circa) sono nati quelli che vengono chiamati “Supertascans”. Ovvero quei vini che nascono dall’unione tra il Sangiovese e i vitigni internazionali: cabernet franc e sauvignon, merlot e sirah.
Sono loro i nuovi portabandiera dell’enologia Toscana e Italiana nel mondo.

Ma non voglio più annoiarvi, le portate si sono succedute, i primi piatti hanno lasciato il posto alle splendide grigliate di carne Chinina, visto che la zona è quella, e ci apprestiamo a terminare il pasto con qualche cantuccio con un goccio di “Vin Santo” completeranno degnamente il pranzo. Una piccola siesta e una passeggiatina chiuderanno la giornata.
Ora ci aspetta la partita, speriamo non ci faccia andare il pranzo di traverso…
Nel malaugurato caso fosse così, converrà rimanere nei paraggi ancora un giorno per non andarsene con l’amaro in bocca. Cominciamo quindi con la zuppa di cavolo e la celeberrima pappa al pomodoro.

come secondo avremo il fagiano tartufato, lo stufato detto “scottiglia”, l’agnello allo spiedo e i fegatelli di maiale. Il tutto accompagnato dai deliziosi fagioli al fiasco conditi con dell’ottimo olio extra vergine d’oliva.
I vini saranno gli stessi, ma dubito che possiate dire di averli bevuti tutti il primo giorno…

Ma ora brindiamo.

In alto i calici e buona Serie B…evute!

Nicolò Ditta

Per informazioni critiche richieste e suggerimenti, tranne soldi e bottiglie di vino, scrivetemi pure a uctrapani@uscatanzaro.net

Autore

Tony Marchese

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