Catanzaro News Dalla Redazione

Iemmello c’è, oggi è un dono.

Pietro Iemmello
Scritto da Redazione

Catanzaro abbraccia la sua punta. È tempo di godersi il presente, di abbandonarsi alla passione del gioco, di sognare ad occhi spalancati.

Cento anni fa (prima di Kung fu Panda e di tutti i cliccatissimi trend di TikTok) Anna Eleonor Roosevelt, la First lady americana, diceva: Ieri è storia. Domani è un mistero, ma oggi è un dono. Per questo si chiama presente.

Oggi è un dono.

Oggi il Catanzaro annuncia Pietro Iemmello. La punta.

Sì, la punta, proprio quella: la figura mitica che negli anni di terza e quarta serie abbiamo imparato nostro malgrado a desiderare, evocare, invocare, individuare come la soluzione di tutti i problemi, la cura universale, l’antidoto ad ogni veleno.

Ieri è storia.

Nell’Alto Medioevo di Cicci Libri, solo due volte ci è capitato di esultare veramente per l’arrivo della punta. Nel 2003, quando a Catanzaro sbarcò un alieno tutto chioma e tiro al volo di nome Giorgio Corona e nel 2014, quando – come in un sogno – nella città da cui era partito 15 anni prima, fece ritorno un talento cristallino al tramonto di una carriera gigantesca: Diomansy Kamara.

In entrambi i casi sappiamo com’è andata a finire. Giorgio è ancora il Re–sponsabile di atti impuri consumati al cospetto di video bisognosi di un restauro. E allo sfortunato Joe nessuno ha mai smesso di volere bene. Forse anche solo per quell’entusiasmo all’aeroporto, per quella sbornia di cori e colori, per quegli arditissimi sogni (wave of vave, ndr) a cui noi catanzaresi sappiamo abbandonarci completamente.

Domani è un mistero.

Pietro Iemmello arriva a Catanzaro alla stessa età di Giorgio Corona nel 2003, 29 anni. Arriva nel pieno della maturità calcistica, dopo almeno un semestre in ombra: da 10 mesi senza gol ma con una dote di oltre 100 reti segnate tra i professionisti, ben 42 tra Serie A e B.

Arriva da catanzarese che alle sue origini non ha mai voluto rinunciare. Non ha mai rinnegato niente, Pietro, a partire dalla curva e dall’accento.

Arriva in città da tifoso sempre presente al Ceravolo alla prima occasione utile, ad ogni pausa dei campionati maggiori. Arriva da giallorosso incapace di esultare ai gol segnati da avversario contro il suo Catanzaro e abilissimo invece a far imbestialire i cugini al San Vito, infilandoli prima e mimando il volo dell’Aquila subito dopo.

Se su Pietro edificheremo la nostra chiesa laica lo scopriremo solo tra qualche tempo.

La sfida che lo attende è di quelle che fanno tremare i polsi, perché di profeti in patria non se ne contano molti in giro per il mondo.

La città dovrà rivelarsi all’altezza del suo campione: dovrà proteggerlo, sostenerlo, accompagnarlo nel percorso senza soffocarlo. Catanzaro dovrà tornare in definitiva, per tutti i calciatori in rosa e per quelli che verranno, l’isola felice dei tempi migliori, il posto in cui il talento sboccia a furia di fatica, in cui il destino si compie un passo dopo l’altro. Si può fare, ci sono le condizioni per farlo dopo gli anni bui delle società straccione e della grandeur millantata. Si deve fare: in fondo lo vogliamo tutti.

Oggi è un dono.

Indici di liquidità, fallimenti in successione, avvoltoi sull’attenti, debiti monstre e incassi più che mai incerti. Nel mare in tempesta (da oltre due anni) del calcio globale, la barca Catanzaro tiene la rotta. E lo fa con una proprietà, quella della famiglia Noto, ritenuta sempre solida ma raramente – almeno fino ad oggi – appassionata.

Qualcuno dice che il successo è ciò che di colpo rende invisibili i fallimenti precedenti necessari per raggiungerlo. Un terzo posto, un secondo posto, un settimo posto, eventi sfortunati, errori piccoli e grandi, playoff giocati senza troppe chance di vittoria finale e un discreto numero di rivoluzioni tecniche. Ma anche resistenza alla tossicità di un ambiente avvitato da decenni su se stesso, investimenti in strutture fondamentali, una comunicazione online contemporanea e di qualità, l’indiscutibile buona reputazione di cui l’Uesse gode ormai tra gli addetti ai lavori.

E adesso il rilancio, con un mercato di riparazione che ripara innanzitutto un torto: la proprietà è appassionata oltre che solida. Portare a Catanzaro la punta catanzarese più desiderata dell’ultimo decennio non rappresenta solo un’operazione di natura finanziaria più o meno onerosa, più o meno impegnativa.

Al di là delle formule d’ingaggio e della paternità della scelta in seno alla società, si tratta innanzitutto del definitivo riconoscimento della componente forse meno razionale ma certamente più vitale del gioco: il sogno.

E allora apriamoli questi occhi. Spalanchiamoli.

E cominciamo a sognare.

Beppe Luglio

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