La storia degli Ultras Catanzaro su Supertifo

La rivista Supertifo dedica un articolo al quasi trentennale degli Ultras Catanzaro.
Un articolo struggente di ricordi e di passione.

Quasi trent’anni fa nascevano gli Ultras Catanzaro. Un
gruppo che ha fatto la storia del movimento ultras nazionale, rispettato e
considerato nella giusta dimensione che merita al di là della categoria in
cui è imbrigliato da lustri. I Leoni che reggono lo scudo si sono
sostituiti al furioso Eddie degli Iron Maiden che brandiva una sciabola
insanguinata e una Union Jack a brandelli, mentre Andy Capp sgomina
avversari e svuota barili di Guinness prima di varcare il West Gate. La
“Massimo Capraro” e il suo stile britannico imbevuto di calore
mediterraneo, nel segno di una tradizione che non vuole morire. Da un
antico adesivo: “la città arde: è una passione che ti travolge. Lo sento
per strada, si insinua tra i miei passi. E’ nell’aria. E’ dovunque. E’
nelle cose che dico e che faccio. E’ un solo grande nome: … Catanzaro!”.
Nel 1989 comparve sui gradoni della mitica Capraro (allora denominata
ancora Curva Ovest) un foglio ciclostilato, autoproduzione old style
d.o.c., intitolato “Mentalità UC”. Sulla fanza degli Ultras Catanzaro si
parlava sì della vita interna del club, delle vicissitudini societarie,
delle prestazioni del Magico, delle trasferte e delle coreografie ma non
solo.

Stiamo parlando di ben 13 anni or sono, di
un’epoca in cui il concetto di “mentalità ultras” non era ancora uno
scomodo argomento, cioè con intenti antagonisti, di rottura, non ancora
una cosa comune a tutti. In parole povere non erano in molti a riempirsi
la bocca con la parola mentalità da sbandierare ai quattro venti per
ricostruire verginità dismesse e svendute al sistema. Invece,
lungimirante, quel direttivo degli UC ’73 aveva ben messo a fuoco il
fulcro del problema: l’unica salvezza per un movimento ultras nazionale
già nell’occhio del ciclone, nel mirino della repressione poliziesca e già
insidiato dall’imperante commercializzazione, era nell’indottrinare le
nuove leve degli spalti al sacro culto della mentalità: RISPETTO,
COERENZA, FEDE INDOMITA, ABNEGAZIONE E LEALTA’. Io, che per motivi
“etnici”, la Capraro ho avuto l’onore di frequentare a cavallo degli
ultimi sgoccioli di serie B (ah quel campionato scippato nel 1987!) e
della successiva discesa negli Inferi della C2 (andammo a piedi in 500
fino a Lamezia, alla faccia di scioperi e boicottaggi vari) posso
testimoniare che se dopo oltre 10 anni di campetti recintati alla meno
peggio, di gestioni societarie malandrine, di palesi macchinazioni di
Palazzo tese a vanificare campionati vinti, di atleti mercenari e altre
interminabili avversità, le gloriose Aquile sono comunque sostenute da una
tifoseria di qualità superiore, ciò è dovuto anche agli insegnamenti
contenuti su quelle quattro facciate ciclostilate. Chiunque li abbia
incontrati, da avversario o da gemellato, deve inequivocabilmente
ammettere che questi tifosi cantano, inesausti, per 90′, colorando di
sciarpate mozzafiato, fumoni anni ’70 e artistici stendardi la propria
curva e i casuali settori ospiti. Viaggiano sempre (UC 73 on tour) in 15 o
in 5000 ovunque giochi il Magico e chiunque li abbia incontrati dentro e
fuori dal campo sa che lo scontro, da queste parti, si concepisce leale e
ultras, senza lame e agguati codardi. Molti sono rimasti estatici di
fronte al giallorosso coreografico che dipinge la Capraro nei big-match.
Pochi condividono la media di 8000 spettatori a campionato annaspando
nell’anonima serie C2, a testimonianza che “C’è solo il Catanzaro” non è
solo un motto da t-shirt.

La Calabria, notoriamente terra di conquista della fede per gli
squadroni del nord, a Catanzaro si chiude a testuggine: in Curva Capraro
non ci sono giovani col cuore a strisce sotto la felpa degli UC. Gli UC
’73 sanno cosa significa la parola solidarietà: la tragedia di Soverato ha
coperto di fango sorrisi e cuori che, fra gli altri, popolavano la curva.
Ricordo ancora quel numero di “mentalitàuc” uscito completamente in nero,
nel luttuoso ricordo di era morto a causa delle negligenze e delle
clientele passate sotto l’omertoso silenzio delle istituzioni di un
frammento di Belpaese violentato dall’ira degli Dei. Un’altra volta
andarono a Foggia e tributarono un commosso ricordo ai morti innocenti
dell’esplosione del palazzo nel cuore della città pugliese. Quando seppero
dell’arresto di un fratello viola, nonostante le tre categorie di
distanza, lo salutarono con rispetto ultras e profonda amicizia umana.
Straziati dalla perdita di un figlio della curva, ne dedicarono il nome al
sorriso di Massimo e ogni anno festeggiano il suo compleanno con una
coreografia in suo onore. Non hanno molti gemellaggi, ma profonde amicizie
che attraversano gli anni e le ruggini del tempo, nel segno della coerenza
nei valori che segnano il trapasso fra generazioni.

Ora che scorro le ingiallite pagine della
memoria per scovare, immersi nei profumi della Calabria, i vivaci
fotogrammi dello spettacolo di quegli anni (“i migliori della nostra
vita”) mi rendo conto che siamo giunti alla vigilia di un glorioso
trentennale. Trent’anni segnati dal piedino fatato di Massimo Palanca
(“Massimè pari nà molla!”), “O Rey” simbolo di una città. Trent’anni
tramutati in leggenda dal fantastico squadrone del 1982 (sarebbe stata
Uefa con le regole attuali!) dove Bivi, Ranieri, Sabadini, De Agostini,
Zaninelli giocavano un calcio da manuale insegnato dal Professor
Giacomini. Trent’anni di serie A tappa obbligata, redenzione di tutta una
regione che si muoveva per animare il mitico “Ceravolo”. Già il
Presidentissimo, quel Ceravolo, galantuomo ineguagliabile di animo e di
amore per i colori giallorossi. Trent’anni ammaliati dalle evoluzioni del
fromboliere Mauro, quel “Massimedu” che avrebbe dato del tu a Zico,
Platini e a Sua Maestà Diego e dalla cocciuta applicazione di “Pinicè”
Lorenzo. Trent’anni nel nome degli UC 1973, ma anche delle SAG (Squadre
d’Azione Giallorossa), dei Wild Eagles, della Generazione, degli Avulsi,
del Tipsy Group (we drink your beer, we fuck your womenÅ ), degli
Incoscienti, degli Exalters, della Brigata, del Gruppo Stadio e dei
Maestri Tessitori, del Mods Rule e dei West Gate Soccer Fan, degli UC
Soverato e di tutte le sezioni del centronord (Roma, Pero, Brescia,
Firenze, Perugia, Pisa). Intanto Andy Capp continua a bere ettolitri di
Pilsner a “el Bodegon Pub” brindando a questi 30 anni nel nome di Massimo
e di tutti quelli volati in cielo, dove osano solo le Aquile.

Autore

Redazione

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