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A lezione di tattica: il 3-4-3

Scritto da Davide Greco

Da Crujff a Zaccheroni, rivisitiamo la filosofia del 3-4-3 con l’impresa di Braglia e il credo di Auteri

Il Barcellona di Cruijff

l’ascesa del calcio moderno

Uno dei moduli più affascinanti della storia del calcio è proprio il 3-4-3. Nato dall’idea del calcio totale olandese, nel corso del tempo è stato adottato a fasi alterne dai più grandi club europei lasciando sempre un’enorme eredità a proposito di accorgimenti tattici di squadra e capacità tecniche dei singoli.

Cruijff prima di approdare al Barcellona da allenatore pronunciò una frase che nascondeva una lucida follia, ma anche una visione del calcio decisamente futuristica: “cambierò il calcio: i miei difensori saranno centrocampisti, ci saranno due ali e non avrò bisogno della punta centrale”.

un nuovo modo di fare calcio

Nell’idea di gioco di Cruijff bisognava concentrarsi sul possesso, sui movimenti e sulla velocità. La strategia in campo faceva la differenza, ciascun giocatore doveva poter contare sul fatto che se abbandonava la propria posizione un compagno lo avrebbe coperto.

La disposizione in campo consentiva sempre di poter eseguire un passaggio in verticale, mentre quelli orizzontali erano proibiti perché le palle perse sarebbero state irrecuperabili. Se l’esigenza era la verticalizzazione, la soluzione era il movimento.

In fase di possesso o di non possesso in campo bisognava fare movimento, per aprirsi lo spazio oppure per riconquistare palla e ribaltare immediatamente l’azione di gioco sfruttando la velocità sulle corsie laterali dove l’avversario sarebbe stato inevitabilmente più debole.

una fonte di talenti: il settore giovanile

I suoi giocatori dovevano imparare a giocare nello stretto, pensando velocemente per non essere imbrigliati. Così nacque l’allenamento Rondo che apparve per la prima volta nella storia del calcio. Cinque giocatori si disponevano in cerchio e si passavano la palla di prima, mentre il giocatore al centro del cerchio cercava di intercettare i passaggi.

Cruijff puntò molto sul settore giovanile del Barcellona da cui emersero talenti come Guardiola e poi nel corso degli anni Xavi, Iniesta, Fabregas e tanti altri che hanno fatto le fortune del loro club e della loro nazionale.

Il modulo di gioco e lo spirito di abnegazione messo in campo esaltò le già straordinarie qualità di Stoichkov, Romario, Laudrup, Koeman e Busquets. Non era una semplice squadra, era la squadra del cuore, quella che impressionava tutti per lo stile di gioco, per la rapidità delle soluzioni di gioco e ovviamente per lo spessore tecnico dei suoi interpreti.

la fine della favola

L’inizio della fine coincise con la terribile batosta nella finale di coppa campioni persa per 4-0 contro il Milan, che era sceso in campo orfano di capitan Baresi e Costacurta. Una lezione di calcio che lasciò un segno indelebile nel cuore e nella carriera di mister Cruijff.

Le dichiarazioni fin troppo spavalde del pre-partita e l’atteggiamento rilassato in campo furono pagate a caro prezzo dal suo Barca. L’avversario in panchina era quel Fabio Capello che lo ricordò cosi: Johan il più grande europeo della storia del calcio? Sì, penso di sì. Era quello che veramente riusciva a fare la differenza. Due giocatori nella mia vita mi hanno impressionato in maniera particolare: Bobby Charlton e Johan Cruijff.

 

 

Il Milan di Zaccheroni

una rivoluzione tattica che fece scuola

L’astro di Zaccheroni nasce nella stagione 94/95 in serie B alla guida del Cosenza. Attenzionato come uno degli emergenti di talento viene chiamato da Pozzo alla guida dell’Udinese dove capitan Calori e i compagni lo ricordano come un allenatore giovane, orgoglioso e preparato. Arrivò da noi con una travolgente ambizione e con la volontà di trasmetterci nuovi concetti per darci la coscienza di poter fare qualcosa di innovativo ed importante.

come nasce l’idea del 3-4-3

Il modulo di base originario di Zac era il 4-4-2 di sacchiana memoria, ma con interpreti ben diversi e un’idea di gioco non troppo lontana da quella del maestro. Nel suo destino c’era il grande Milan, ma lui ancora non poteva saperlo. L’esordio in serie A fu convincente, una salvezza tranquilla che ripagava il lavoro dietro le quinte eppure qualcosa di strepitoso doveva ancora accadere.

L’anno successivo sul terreno della Juventus si ritrovò dopo pochi minuti con l’uomo in meno per via dell’espulsione di un terzino e invece di sostituire un attaccante con un difensore (dunque per tenere la linea di difesa a 4) effettua un cambio atipico cioè inserisce si un difensore (Gargo), ma toglie il centrocampista esterno Locatelli e sposta più avanti il terzino sinistro Sergio.

L’idea di Zaccheroni era dunque quella di non rinunciare ad attaccare mantenendo la linea dei quattro centrocampisti e le due punte. Però chiaramente occorreva disporsi con la difesa a tre e visto che Gargo aveva certe qualità tattiche ben precise, la scelta si rivelò azzeccata.  Quella partita fini per 0-3 e fu un vero e proprio spartiacque per la carriera del mister.

una nuova idea del vecchio modulo WM

Da lì in avanti Zaccheroni decide di approfondire e giocare con il 3-4-3 non prima di aver impartito un principio ben chiaro ai suoi e cioè che i due esterni di centrocampo non si abbassano simultaneamente per formare una difesa a cinque, tantomeno devono avventurarsi in avanti senza le dovute coperture.

La funzionalità primaria degli esterni di fascia è quella di tenere in equilibrio i tre reparti. Infatti se c’è da difendersi uno degli esterni di centrocampo si abbassa, ma l’altro rimane alto in pressione cosi da concedere meno spazio possibile di manovra al portatore di palla avversario e mantenere viva (e soprattutto concreta) la possibilità di ripartire innescando il tridente.

Non era ancora il calcio totale e nemmeno quello del possesso palla infinito di alcuni grandi club europei, ma in qualche modo per l’Italia si trattava di una piacevole novità visto che quasi tutte le altre squadre erano ancora legate a quell’idea di difesa all’italiana che lasciava poco spazio alla spettacolarità del gioco.

la rivoluzione rossonera

Quando Alberto Zaccheroni fu chiamato sulla panchina del Milan l’eredità da raccogliere era decisamente pesante. Il club rossonero di Sacchi e di Capello aveva bisogno di nuova linfa vitale, di nuove idee di gioco e di tanto coraggio.

La rivoluzione tattica di Zaccheroni iniziò dalla difesa a tre, con i due terzini che in fase di possesso diventavano centrocampisti e che impostavano la manovra. I centrocampisti si muovevano in coppia cercando il dialogo con il compagno più vicino dando il via al classico gioco del corto / lungo.

Gli esterni di centrocampo e quelli di attacco si venivano incontro portando l’avversario a spasso ed aprendo lo spazio (gioco nello stretto / largo) mentre i compagni seguivano l’azione tagliando il campo trasversalmente per togliere punti di riferimento.

il gioco delle coppie

In pratica lo sviluppo del gioco avveniva per coppie di giocatori, che si muovevano vicini. Ciascuno aveva nel compagno più vicino il proprio punto di riferimento. Trovare sempre un compagno libero significa anche maggior fluidità di manovra, aggredire l’avversario con maggior efficacia e dunque prevalere tatticamente.

Il Milan di Zaccheroni era anche un concentrato di qualità tecniche di primissimo livello con Maldini e Costacurta a guardia della difesa, Ambrosini e Albertini metronomi del centrocampo, Bierhoff e Weah micidiali in avanti.

A detta di mister Zaccheroni, il segreto di una squadra vincente non è il modulo in se stesso, ma come i propri calciatori lo interpretano. Ed è proprio per questo motivo che non sempre nella sua carriera Zac ha potuto replicare il suo marchio di fabbrica: il 3-4-3.

le muse ispiratrici

Modulo che è nato studiando pregi e difetti del Barcellona di Cruijff come del Foggia di Zeman. Per mister Zaccheroni era vitale mantenere il tridente offensivo, chiedendo agli attaccanti di ripiegare poco sotto la linea di centrocampo per non schiacciare il baricentro.

Capacità di adattamento, spirito di sacrificio e infine restare pericolosi anche quando si subisce l’avversario. Con questa ricetta Zaccheroni risollevò le sorti del club rossonero vincendo lo scudetto dopo una strepitosa rimonta sulla Lazio.

Non era il Milan stellare dei tre olandesi, non era la formidabile macchina da guerra di Capello, bensì una squadra normale che tuttavia riuscì nell’impresa di stupire tutti mettendo in mostra un calcio decisamente propositivo, non esattamente spettacolare ma di certo molto pratico.

Il suo modo di fare calcio, tuttavia, non era condiviso dal management che iniziò a spazientirsi quando i risultati delusero le aspettative.

 

 

Il Catanzaro di Braglia

la conquista della cadetteria nella stagione 2003/2004

La carriera di Braglia è nata sotto una buona stella prima da giocatore approdando alla massima serie con la casacca del Catanzaro e poi da allenatore macinando fin da subito alcuni importanti successi nelle serie minori.

un palmares di tutto rispetto

Il suo esordio fra i professionisti vale due ottimi piazzamenti in zona play-off con il Chieti, ma è ancora con il Catanzaro che Pierino salirà alla ribalta delle cronache affermandosi come un uomo di calcio con le idee chiare e soprattutto vincenti.

A distanza di qualche anno Braglia si ripeterà nell’impresa con il Pisa, la JuveStabia e di recente con il Cosenza regalando ai calabresi un inatteso e brillante finale di stagione grazie ad una sapiente preparazione atletica che valsero ancora una volta la serie cadetta.

Non esattamente una carriera in discesa, anzi… Braglia nel corso degli anni ha più volte saggiato il sapore amaro dell’esonero non riuscendo a far coincidere i suoi dettami con quello che le squadre esprimevano in campo.

l’indole ribelle

Più luci che ombre nella carriera da allenatore e da giocatore, con quel carattere da toscanaccio puro che a detta di Bruno Pace valeva bene una scazzottata.

A proposito della sua indole ribelle, Pierino racconterà più tardi che Mazzone non faceva altro che raccomandarmi di non farmi ammonire ed espellere. Poi, dopo dieci giornate, mi chiamò e m’invitò a toglier fuori quel che sentivo, sino a qualche pestaggio proibito, se proprio era il caso.

un modulo vale l’altro

In genere un allenatore si affeziona ad un modulo e lo perfeziona nel corso del tempo, beh non è il caso di Braglia che nel corso della sua carriera da allenatore ha svariato molto dalla difesa a 4 a quella 3 schierando le sue squadre con una notevole varietà di moduli e interpretazioni dei ruoli.

Nel suo esordio sulla panchina giallorossa dichiarò desidero giocatori con carattere e tanta voglia di scendere in campo. Vorrei, poi, elementi che mi permettano di giocare come voglio. Gradisco il 3-4-3, ma posso applicare qualsiasi modulo. Non vorrei che ci si soffermasse più di tanto sui numeri. Per esempio, i tre dietro rappresentano un riferimento solo in fase d’impostazione, perché, quando ci difendiamo, dobbiamo essere cinque o anche di più.

E in effetti il corso della storia ha confermato quanto dichiarato agli esordi della carriera. Vincerà infatti con il Catanzaro utilizzando prevalentemente il 3-4-3 che confermerà anche con il Pisa, salvo poi variare sul 4-4-2 alla guida della Juve Stabia per concludere con il 3-5-2 sulle sponde del Crati.

la sua prima serie B

Il Catanzaro di Braglia giocò alternativamente con il 3-4-3 e il 4-4-2 scoprendo oltre ogni più rosea aspettativa il formidabile estro di Giorgio Corona, soprannominato Re Giorgio per l’eleganza dei movimenti e la micidiale verve realizzativa.

Il segreto di quella squadra stava tutto nella capacità di verticalizzare la manovra correndo a una velocità supersonica. Ma oltre alle doti tecniche dei singoli è emersa soprattutto la maturità e la personalità di un gruppo allestito per vincere la C2 ma ripescato in C1 e dunque rinforzato freneticamente negli ultimi scampoli di mercato.

Pierino decise da subito per il 3-4-3 e i rinforzi furono Dei e Caterino sulle corsie laterali, al centro del campo Briano a far coppia con Ascoli, in avanti l’esplosività di Toledo il carisma di Ferrigno e l’estro di Corona.

Dopo un avvio incerto le aquile prendono il volo imponendo la legge del Ceravolo e conquistando diversi punti importanti lontano dalle mura amiche. A marzo le prime difficoltà inducono Braglia a cambiare modulo schierando la difesa a quattro.

un filotto di vittorie

La mossa si rivelerà vincente perché le aquile trovano un nuovo equilibrio tattico che consente loro di incassare solo quattro reti in nove partite. La scalata alla vetta si confeziona al termine di otto vittorie e una solo sconfitta in quel di Martina.

Ancora una volta c’è un segreto in quell’incredibile inversione di marcia: da un lato sicuramente la ritrovata solidità difensiva con Dei arretrato nel ruolo di terzino, poi la sagace onda d’urto a centrocampo con Briano e De Simone, ancora con la velocità sui corridoi esterni di Ferrigno e Toledo e infine con Corona capace di centrare lo specchio della porta ben cinque volte su nove partite.

Fra i protagonisti di quella memorabile annata ci fu anche Nicola Ascoli che molti anni più tardi dirà che Braglia era stato il più importante fra tutti gli allenatori, a Catanzaro prima e Frosinone poi. Con lui ho vinto campionati, mi ha dato fiducia, continuità. Con lui c’è un rapporto particolare cosi come c’è stato a Catanzaro.

Come spesso accade il calcio da tanto, ma toglie anche tanto. Nella stagione successiva la serie B di Pierino durò poco e nulla, colpa l’atavica esigenza di avere tutto e subito. Tipico di quelle piazze del sud calde di passione, ma anche troppo impazienti e impulsive.

 

 

 

 

Il 3-4-3 del Catanzaro di Auteri

la doppia parentesi del mago di Floridia

Fra i più tenaci sostenitori della filosofia di gioco del 3-4-3 c’è anche mister Auteri che nel capoluogo calabrese ha vissuto una doppia parentesi costellata di vittorie esaltanti ma anche di delusioni cocenti.

Si avvicina al 3-4-3 quasi per caso, in occasione di un match amichevole fra il suo Siracusa (che allora militava nell’interregionale) e il Rosarno: eravamo nel pieno delle preparazione e mi ritrovai con diversi infortunati, ridisegnai l’undici in campo schierandoli con il 3-4-3 e la squadra si espresse come mai in passato, così decisi di studiare più approfonditamente quel modulo.

Ha allenato giocatori come Castaldo ed Evacuo (per citarne due), ma fondamentalmente il suo calcio è sempre stato fatto di movimento tant’è che a dispetto di quei club che vantano un unico principale finalizzatore, Auteri ha sempre privilegiato la mobilità degli attaccanti, consentendo peraltro a tanti elementi della rosa di andare in gol.

Le parole chiave sono tre: gli equilibri difensivi, il possesso palla e i ritmi alti. Un mix esplosivo che con il tempo ha portato ripetutamente Auteri sul gradino più alto del podio.

gli equilibri difensivi

Uno degli aspetti principali del sistema di gioco sta nelle coperture preventive, nella capacità dei difensori di adattarsi ad uomo nella zona. Leggere lo sviluppo della manovra e muoversi di conseguenza, scalando orizzontalmente senza perdere di vista gli avversari.

Sembra paradossale, ma per quanto il 3-4-3 si possa considerare offensivo, l’equilibrio dei meccanismi nasce proprio dalla difesa. Dalla capacità dei difensori di posizionarsi e muoversi anche nelle transizioni negative, nelle aperture che richiedono rapidità di intervento e lucidità di esecuzione.

Ad esempio nel caso di un eventuale cambio di gioco a tagliare il campo, per quanto sopraffina possa essere la capacità degli avversari di calibrare passaggi lunghi e millimetrici, la difesa a tre continua a muoversi a zona puntando l’uomo fino al rientro degli esterni di centrocampo che raddoppiano la marcatura.

Altri allenatori preferiscono la difesa a quattro, se non addirittura a cinque, ma così facendo rinunciano a uno dei punti cardine del gioco di Auteri e cioè quella numerosità in avanti che consente l’aggressione o ri-aggressione sul portatore, una sorta di gegenpressing moderno che chiude le linee di passaggio e consente, in caso di recupero, di attaccare l’avversario fuori posizione.

Ma per far questo bisogna poter contare su un uomo in più, cosi Auteri inizia a studiare il modo di schierarsi a tre dietro mantenendo la linea mediana a quattro e conseguentemente aggiungendo un uomo nel reparto offensivo.

il passaggio definitivo al 3-4-3

La definitiva conversione al 3-4-3 avvenne quando allenava il Crotone e precisamente in occasione di un’amichevole estiva disputata a San Giovanni in Fiore contro il Foggia dell’amico Pasquale Marino: ricordo che eravamo partiti con il 4-4-2, ma i miei andavano in difficoltà perché il Foggia si apriva a tre e appena la palla passava al terzo difensore automaticamente il mio esterno di centrocampo si abbassava sul loro esterno, concedendo di fatto circa 30 metri di campo sulla catena di destra.

Nacque così l’idea di giocare con tre attaccanti, per indurre l’avversario a rinunciare all’aggressione medio alta e quindi tentare di sovvertire le sorti dell’incontro.

Sfoderare il tridente comporta dunque il vantaggio di tenere in allerta la difesa avversaria, che quasi sempre rinuncia di fatto all’uno contro uno e pertanto arretra il baricentro di uno o due elementi che, diversamente, si troverebbero avanzati in fase di pressing.

Quasi un passaggio epocale dal “primo non prenderle” al più moderno e gettonato “la miglior difesa è l’attacco”. Che se vogliamo è il leit motiv del calcio moderno, fatto di aggressione, prestanza fisica, velocità e tanto possesso palla.

il pressing alto, un fattore comune

Ormai sono pochissime le squadre che non praticano l’aggressione alta. Sembra quasi un mantra che determina di conseguenza una sempre maggiore intensità del gioco. A qualsiasi livello lo si guardi, il calcio sta cambiando. Indipendentemente dal modulo, ciò che accomuna ciascun collettivo è l’intensità che si esprime nel gioco, rinunciando alle barricate e cercando di prevalere sull’avversario.

Si privilegiano le geometrie, il restare corti e quindi muovendosi in spazi stretti si cerca di creare superiorità numerica. Alessandro Bruno (Pescara) dice oggi di lui “con mister Auteri ho vissuto la stessa intensità ed espressione di gioco che vedo oggi nell’Atalanta di Gasperini”.

I due esterni di centrocampo non stanno mai in linea, ma partecipano all’aggressione con i centrocampisti e gli attaccanti. Altri allenatori invece li tengono bassi e in linea con la difesa precludendosi la possibilità di aggredire l’avversario.

Vincere è difficile perché devi togliere iniziativa all’avversario senza alterare i tuoi equilibri. Legittimare la vittoria prendendo il controllo delle gare. Chi prova a vincere speculando difficilmente raggiunge l’obiettivo.

ruoli diversi, soglie anaerobiche diverse

A parità di atteggiamento, non c’è un modulo più dispendioso, esistono però all’interno di ciascun gruppo dei valori di soglia anaerobica molto diversi. Ad esempio gli esterni di centrocampo e le mezzali fanno un allenamento diverso e devono avere valori di soglia di grandi cursori perché corrono più dei compagni.

I difensori fanno un tipo di sforzo diverso, agiscono in tempi brevissimi in spazi più corti ma con enorme intensità. Gli attaccanti hanno valori più bassi, molto brevi ed esplosivi alla massiva velocità, ma con una capacità di recupero più bassa rispetto ai compagni.

Se testassimo la soglia anaerobica dei calciatori, scopriremmo che quelli con i valori più alti sono predisposti al ruolo di mezzali o di esterni. Capacità fisiche non comuni a tutti i calciatori che determinano le basse e alte fortune di chi come mister Auteri applica il 3-4-3 con cura manicale.

gli attaccanti, fra movimento e staticità

Fra i tasselli più discussi del mosaico c’è senza dubbio quello della punta centrale. Un ruolo trasformato nel corso degli anni. Quello che una volta era Il numero 9 è diventato un falso nueve, una via di mezzo fra un trequartista e una prima punta.

Un ruolo delicatissimo che spesso determina le fortune della squadra. In altre occasioni invece si rivela una scomoda presenza nonostante il curriculum sia di tutto rispetto.

Auteri esige sempre il movimento, mai la staticità. Andare incontro al pallone, seguire il compagno cercando il dialogo nello stretto. Non c’è allenatore al mondo che rinuncerebbe a un fuoriclasse, ma in terza serie i valori sono ben altri.

Per scardinare le difese avversarie bisogna insistere sul movimento. Il movimento genera spazio e destabilizza le difese, la staticità aiuta le difese. I movimenti piatti non mettono in apprensione i difensori, mentre i movimenti incontro, detti anche elastici, costringono le difese a muoversi lasciando uno spazio scoperto.

Fra i calciatori maggiormente rappresentativi allenati in carriera c’è anche un certo Castaldo che ama giocare ed è per i compagni un punto di riferimento centrale, un giocatore mobile che non aspetta la palla.

Più gli attaccanti si allontanano dalla palla più diventi prevedibile e piatto, mentre quando ti muovi fuori dentro continuamente quello è il momento in cui si creano le condizioni per superare le difese schierate.

 

 

 

Conclusioni

Per quanto il calcio moderno porti gli allenatori ad uniformare taluni concetti come ad esempio quello dell’aggressione alta o del possesso palla, sussiste ancora un netto divario fra le diverse serie professionistiche sull’impiego del 3-4-3

Le categorie inferiori vantano un maggior numero di allenatori che applicano questa tipologia di modulo, varianti comprese. Nella massima serie invece, se da un lato spicca l’operato di mister Gasperini dall’altro rimane innegabile che la maggior parte degli allenatori che schierano la difesa a tre preferiscono infoltire il centrocampo piuttosto che sfruttare il tridente.

Anche i grandi club, che vantano budget milionari, al tridente preferiscono la difesa a quattro, oppure cercano un equilibrio diverso acquistando giocatori molto versatili che possano occupare al meglio più zone di campo.

Le ragioni di questo divario probabilmente sono da ricercare nel fatto che più si sale di categoria e più alta si fa la competizione, dunque gli equilibri sono più vicini e di conseguenza è più difficile trovare e sfruttare i punti deboli dell’avversario. Vince chi sbaglia meno, anche a costo di annoiare gli spettatori.

Un’altra motivazione di fondo sta anche nella preparazione atletica che è sicuramente più impegnativa se durante l’arco della stagione c’è da correre tanto. I club impegnati anche nelle competizioni internazionali hanno poco tempo per sperimentare e pochissimi margini di errore se vogliono arrivare in fondo. I club minori invece hanno l’obiettivo primario nella permanenza della massima serie e questo porta ad un atteggiamento più prudente che va a discapito dello spettacolo.

Discorso a parte per le serie cadetta che negli ultimi anni ha accusato sensibilmente l’enorme differenza tecnica con la massima serie, spingendo pertanto molti allenatori a cercare di trarre il massimo profitto da un gioco chiuso che premiasse l’estro del singolo a dispetto della coralità della manovra.

Anche in questo caso la motivazione principale sta dietro l’obiettivo primario della permanenza in quella serie che garantisce un certo giro di quattrini. La retrocessione in serie C fa paura perché risalire la china è davvero complicato quando il giro d’affari si riduce di circa il 90%

Esistono per fortuna anche le mosche bianche, squadre ben organizzate che offrono uno stile di gioco di buon livello con ricerca insistita del possesso e immediate verticalizzazioni, ma non sempre questo modo di stare in campo premia le ambizioni delle società.

In tal senso, la terza serie ha un valore inestimabile nell’economia del sistema calcio perché apre le porte del professionismo a chi ha il coraggio e l’abilità di trovare quel giusto mix di ingredienti che danno un significato al gioco del calcio.

Autore

Davide Greco

6 Commenti

  • Cruijff, Zaccheroni, Braglia, Auteri….ma non si fa cenno al genio di Corrado Viciani, il primo allenatore che applicò in Italia il modulo tattico a zona olandese, applicando il gioco corto e il pressing, le armi vincenti delle squadre meno dotate tecnicamente.
    Il Viciani dei miracoli che portò per la prima volta nel 1972 in A un’anonima provinciale come la Ternana e che aveva vinto meritatamente nel 1974 una coppa Italia con il Palermo, squadra di B, scippata poi al 90º con l’inganno dall’arbitro disonesto Gonella e dai farabutti e cialtroni di alcuni calciatori del Bologna, Bulgarelli in testa!
    Onore a questo genio troppo presto dimenticato da tutti.
    Che strano mondo che è il calcio!

  • Articolo interessante, soprattutto per chi si vuole approcciare su tatticismi e anche su diverse scuole di pensiero sul gioco del calcio.
    Ma al di la dei vari credo, la regola fondamentale per avere successo in questo sport è in primis, oltre alla disciplina, la qualità dei calciatori, perché in genere con i brocchi non si vince mai e hai voglia di farne di tattiche!
    Per esempio, lo scorso campionato se la proprietà a gennaio ci avesse creduto, investendo adeguatamente soprattutto su elementi di qualità per rinforzare la difesa, vero nostro tallone d’Achille, forse oggi staremmo a parlare di serie B.
    Un altro elemento che è mancato alla corte di Tano è stato quello di un vero attaccante centrale con vocazione d’area, quello che nei momenti topici avrebbe potuto risolvere diverse partite, questo nonostante la bravura dell’allenatore che ha saputo creare con Fischnaller e D’Ursi una delle migliori coppie d’attacco della storia giallorossa, ma nonostante questo si è avvertita la mancanza di un elemento di spicco in questo ruolo specifico, elemento che avrebbe potuto essere il vero valore aggiunto della squadra, quello che invece non è stato Bianchimano, non essendo assolutamente all’altezza di svolgere diligentemente questo compito.

    • Credo che Auteri abbia grande stima di Bianchimano perché sa muoversi e sacrificarsi, oltre ad essere abbastanza cinico sotto porta, però è innegabile che qualche acciacco di troppo abbia compromesso la costanza di rendimento.
      Purtroppo negli ultimi anni abbiamo vissuto sulla nostra pelle un numero a volte davvero incredibile di infortuni che hanno pesato molto sull’equilibrio della squadra e di conseguenza sull’economia dei risultati.

      • Davide, io da Bianchimano mi aspettavo molto di più, anche se è lontanissimo dalle qualità tecniche di un attaccante completo come Castaldo (e altri), certamente di un altro pianeta.
        Fragile fisicamente, ma soprattutto non dotato caratterialmente di quel piglio che serve per svolgere un ruolo importante come quello voluto da Tano.
        Il ragazzo se vuole scalare la difficile montagna che porta nelle categorie che contano deve impegnarsi molto di più, altrimenti navigherà per sempre nell’anonimato delle serie minori.
        Scaduto il prestito non credo che la società la riconfermerà per il prossimo campionato, che, ahinoi, sarà un’altra incognita.

  • Cari Amici A catanzaro il Bomber c’ era …Quest’ anno ha siglato 16 reti con ancora circa 10 partite da giocare ..Lo scorso anno in meno di metà campionato ha siglato 9 reti ..Totale 24 reti in meno di una stagione e mezza ..Niente male …L’ abbiamo curato e poi una volta guarito L’ abbiamo fatto andare via .Capisco che aveva giocato poco per una serie di errori Ma bisognava trattenerlo ..Grande errore ….

    • Ti riferisci a Saveriano Infantino, che io avrei comunque trattenuto per utilizzarlo quanto meno nelle emergenze.
      Ma secondo il giudizio di Auteri non era adatto a svolgere il ruolo di attaccante di manovra, che il suo modulo tattico richiede, probabilmente per età, stazza fisica e acciacchi muscolari.

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