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Aspettando un giorno di sole

Aspettando un giorno di sole
Scritto da Ivan Pugliese

Un affresco del Catanzaro e di Catanzaro al tempo del Coronavirus

It’s rainin’ but there ain’t a cloud in the sky Must of been a tear from your eye Everything’ll be okay*

 

Caro Catanzaro,

sono un tifoso qualunque.

Di quelli che non possono entrare al “Ceravolo” da una fredda notte di fine febbraio. Lo stadio ribolliva con 7mila persone. C’erano i cugini di Reggio lanciati verso la promozione da fermare. E invece il palo fermò Carlini, e Rivas portò gli amaranto in paradiso. Dieci giorni dopo ero davanti alla tv, di lunedì sera, incredulo davanti agli spalti vuoti. A 15 anni di distanza dall’ultima volta, a pochi metri da casa mia c’era il Bari. E io ero davanti alla tv. Avevo appena scoperto il significato di DPCM. Avevo appena scoperto cosa significa la libertà. La tangenziale vuota, il Roks vuoto, Giacinto chiuso, il piazzale dello stadio vuoto, la discesa dei pompieri vuota. Il Ceravolo vuoto. Tre mesi dopo la Reggina è in serie B. Quattro mesi dopo mi tradisci ancora una volta ai play-off.

Caro Catanzaro,

sono un tifoso da trasferta.

Di quelli che girano da 30 anni per gli stadi del Sud, a caccia di un’emozione, di un pezzetto d’orgoglio da sfoderare il giorno dopo al lavoro. Quando i colleghi mi raccontano i loro weekend di mogli, mariti, figli, mete esotiche, settimane bianche e centri commerciali. E io rispondo che sono tornato alle 5 di mattina da Francavilla dopo aver perso 4-0 in un campetto di periferia. Io, dopo la sconfitta di Potenza, non ti ho mai più visto. Non ho potuto calcolare il percorso per venire da te, non ho più preso giorni di ferie, anzi ho perso il lavoro, non ho studiato gli incroci in autostrada con altre tifoserie, non ho più perso la voce con la gola avvolta nella tua sciarpa giallorossa.

Caro Catanzaro,

sono uno dei 655 tifosi della partita col Foggia.

Quella di un mese fa, con le porte aperte per pochi intimi. Avevo un po’ paura di “salire” allo stadio, ma anche l’entusiasmo di un bambino. Mi sembrava che tutto potesse tornare alla normalità. Poi mi sono chiesto che cos’è la normalità. Non una curva vuota e senza passione. Non il mio vicino di posto a tre seggiolini da me. Non l’eco sorda di un pallone calciato in porta da Evacuo. Non l’esultanza strozzata da una mascherina giallorossa. Certo, mi è piaciuto tirar fuori da un cassetto dell’armadio la mia sciarpa, indossarla con orgoglio, rivedere i miei amici davanti alla “Capraro”, commentare quanto è forte finalmente un numero nove giallorosso, sentire di nuovo il profumo dell’erba. Ho ritrovato per una sera la speranza. Prima di un altro DPCM.

Caro Catanzaro,

sono uno dei tanti tifosi della provincia.

Di quelli che ci sono sempre. Che macinano chilometri, una domenica sì e una no, per venire nella tua città, per occupare sempre lo stesso posto. Sono uno di quelli che fa il pieno di benzina nel fine settimana, che si porta un panino da mangiare velocemente mentre è in fila alla biglietteria. Sono uno di quelli che sente la passione viscerale e non ascolta le polemiche sul presidente di turno. Perché le polemiche se le porta via il vento, perché le polemiche sono solo il pasto quotidiano dei giornaletti locali di una città in declino. Per me conta solo quella maglia giallorossa, chiunque la indossi, qualunque sia la società.

Caro Catanzaro,

sono un tifoso fuori sede, un tifoso emigrato.

Di quei tanti per i quali sei sempre simbolo indiscusso di riscatto sociale e di vanto. Anche quando giochi su un campo improbabile di serie C. Oggi mi sento come i miei fratelli che ho lasciato in città. Adesso anche loro, come me che lo faccio da sempre, sono costretti a vedere la partita attraverso uno schermo, con un collegamento ballerino e il commento di uno dei tanti telecronisti di provincia. Certo mi pesa pensare che quella remota possibilità di vederti dal vivo oggi sia sparita e l’unico virus di cui sono pieni i miei giorni non sia quello giallorosso.

Caro Catanzaro,

sono un tifoso ottimista come tanti.

Ad agosto, sotto un ombrellone a Soverato, sogno finalmente la serie B e mi sembra che Agodirin sia una freccia nera, capace di infilare avversari e regalarmi la gioia che merito. Sono quello che alla prima sconfitta pensa che in fondo la squadra deve trovare l’amalgama giusta. Che alla seconda sconfitta non si abbatte. Che alla terza sconfitta pensa che quest’anno è quello giusto per sfatare il tabù dei play-off. Che alla quarta sconfitta crede che il nuovo allenatore ci farà arrivare lontano e che il progetto è rimandato solo di un anno. Sono quello che crede che Floriano Noto sia il presidente atteso da una vita, bello, elegante, ricco abbastanza per frequentare i salotti dorati e televisivi del calcio che conta. Sono quello che abbiamo una bella squadra, con gli uomini di esperienza e un allenatore grintoso. Sono quello che il presidente Noto continua a farci parlare di calcio, nonostante il momento difficile per il calcio, senza incassi e con tante spese per mandare avanti la baracca. Sono quello che crede alle favole e che tornerai lì dove devi stare.

Caro Catanzaro,

sono un tifoso pessimista.

E penso che nessuno ci salverà dalla maledizione calata sul “Ceravolo”. Credo che il nostro sia un destino di terza serie. Sono quello che pensa ai 30 anni di serie C, alle società corrotte, incapaci e incompetenti che ci hanno regalato due fallimenti e questo calvario. Sono quello che alla prima sconfitta, è sempre la solita storia. Che alla seconda sconfitta, il campionato è finito come sempre a ottobre. Che alla terza sconfitta vede già la zona retrocessione. Che alla quarta sconfitta, l’anno prossimo non mi vedono più allo stadio. Sono quello che Floriano Noto è la più grande delusione degli ultimi 30 anni perché spende poco ed è pronto a lasciarti da un momento all’altro, appena ne avrà l’occasione. E a quel punto nessuno ti vorrà più.

Caro Catanzaro,

sono un cittadino della tua città.

E sono mortificato perché una volta grazie a te eravamo sulla bocca di tutti gli italiani come un esempio, un miracolo, un simbolo di rinascita del Sud. Oggi invece la tua città è su tutti i notiziari, derisa da chiunque per lo sfascio a cui l’hanno ridotta mestieranti della politica e becchini della tua antica nobiltà. Oggi che uno dei tuoi vecchi presidenti è in galera da mesi e il dominus indiscusso della tua città è ai domiciliari da poche ore, marchiati entrambi da accuse infamanti. Oggi che il tuo Consiglio Comunale è additato come un covo di furbetti incalliti. Oggi che la tua città è simbolo e capoluogo di una regione con un sistema sanitario devastato dal malaffare, dall’ignavia e dall’incompetenza, dove tutto sommato è meglio non andare a vivere.

Caro Catanzaro,

sono un cronista di UsCatanzaro.net

E da 20 anni sono al tuo fianco, tutti i giorni, tutte le domeniche. Per raccontare la tua storia e la tua quotidianità, i tuoi successi e le tue sconfitte. Ero qui quando Internet sembrava una roba da pionieri e trasmettevo dagli stadi di quarta serie con un telefonino. Ero qui nei pochi momenti felici, ad Ascoli il 16 maggio del 2004 e al “Ceravolo”, col Giulianova, il 6 maggio del 2012. Ero qui a denunciare gli scandali che portarono al primo fallimento del 2006. Ero qui a incalzare sindaci, classe politica e imprenditori nei passaggi più traumatici della tua storia. Ero qui a vigilare su imbianchini e gioiellieri truffaldini che giocavano a fare i presidenti, su società nepotistiche o in odore di ‘ndrangheta. Ero qui a sperare come un tifoso, ma cercando di raccontare sempre la verità. Com’è giusto fare per chi ha questo dovere.

Caro Catanzaro,

eccoci qui.

Tutti diversi ma tutti insieme. Come sempre. Aspettando un giorno di sole.

 

* Sta piovendo ma non c’è una nuvola in cielo Deve essere una lacrima dai tuoi occhi

Andrà tutto bene

Autore

Ivan Pugliese

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