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Splendori e miserie di un vecchio stadio

Pino Curva Ovest
Scritto da Redazione

Il dialogo tra l’anziano campo e la giovane palazzina sull’essenza del calcio. L’ode allo stadio “Ceravolo” di Emanuele Ferragina

“Che un individuo voglia risvegliare in un altro individuo ricordi che appartennero ad un terzo, è un evidente paradosso. Realizzare con disinvoltura questo paradosso è l’innocente volontà di ogni biografia” (Borges, Evaristo Carriego)

La ripetizione del paradosso di Borges è una missione occulta che passa di padre in figlio, un sentito comune che abbiamo appreso in anni di sconfitte e delusioni. La vittoria, seppur momentanea, non è nient’altro che un’iniezione di entusiasmo che permette a quel paradosso di compiersi anno dopo anno. Al passato di rivivere attraverso gli occhi di un bambino.

Eppure ne hai viste tante, con il sole e con la pioggia. All’origine eri composto da qualche gradino, poi quando il calcio diventò importante arrivò prima il cemento, e poi quell’espansione vorticosa per accogliere le gesta di una squadra gloriosa, e soprattutto le urla non sempre di giubilo del tuo popolo colorato e rumoroso. Un’espansione, che come sempre in città fu al limite delle regole. Ora, da anni te ne stavi solo e incazzato, convinto che prima o poi sarebbe arrivata la tua ora, dopo che per uno strano scherzo del destino avevano fatto fuori il tuo più illustre vicino. Quel pino con cui solevi condividere gioie e dolori in giallorosso. Eri convinto che al di là dei risultati, avrebbero abbandonato tutto e se ne sarebbero andati magari vicino al mare. Te ne avevano parlato vecchi amici che avevano fatto quella fine ad ogni latitudine, sacrificati in nome del ‘calcio moderno’ e dello spazio per attorniare i tifosi con paccottiglia da consumare. A Bristol avevano addirittura piazzato un’IKEA al posto di Eastville.

Ma si sa, la vita di uno stadio segue da vicino quella della sua squadra: un continuo ribaltamento di situazioni. Così a te era capitata una sorte strana, diversa da quella dei tuoi vecchi amici. Qualcuno, invece di porre fine alle tue pene abbattendoti, aveva deciso d’interrompere il tuo letargo piazzandoti sopra una vera stranezza. Una palazzina sopra un vecchio stadio. Avevi cercato sugli almanacchi, ma una cosa del genere non l’avevi trovata da nessuna parte. C’erano stadi asimmetrici con una gradinata enorme e tre gradini nel resto dei settori in Croazia, una strada che passava sotto un settore in Spagna, gradinate fra le rocce in Portogallo, ma niente di simile a quello che s’erano inventati qui. Forse, uno stadio che accoglieva un pino, poteva fare lo stesso con un corpo alto e disarmonico come una palazzina. Certo con quelle tonnellate di cemento che ti sovrastavano ti sentivi come un novello Sisifo: simbolo di un popolo schiacciato dal peso di una storia (forse) troppo gloriosa per quella città sempre più piccola e sempre più senza titolo. 

«Ma perché te ne stai sempre incazzato e girato di spalle? Non ti piace il calcio? Credo di aver capito che i nostri sono quelli giallorossi. E giocano davvero bene». Una voce baritonale, incurvata da molte primavere, rispose in modo stizzito al ragazzetto impertinente: «Non mi interessa, ho altro da fare». Il giovane riprese in tono scherzoso: «Ma non sarai uno di quelli che si credono superiori perché sostengono che il calcio consiste in ventidue imbecilli che corrono dietro una palla?».

Un brivido percorse la gradinata. E la vecchia voce prese fiato e rispose con orgoglio malcelato: «Io a quei ventidue imbecilli ho dedicato l’esistenza. Anzi, ragazzo, ho fatto di più, ho passato la vita a sorreggere coloro che attaccavano le loro sorti, gioie e dolori settimanali a quegli imbecilli. Ma tu che ne sai? Che ne sai di Kertész, Vignando, Battafarano, Corona, Ferrigno e Galeano? Perché vedi quella palla non appartiene a chi la tocca con i piedi, ma a chi sogna vedendola volteggiare. Tu sei giovane, ma per uno come me diventa importante capire che c’è un momento per ritirarsi prima che uno spettacolo diventi insulso e grottesco. A me è successo qualche anno fa, c’era lo stadio pieno. Era una giornata strana, nessuno poteva sedersi su di me, ma negli altri settori c’era tanta gente come quando eravamo in serie A. Era il giorno di una promozione tanto attesa, ma non riuscivo a gioire, c’erano troppe cose stonate, troppi personaggi strani in campo, troppi fischi in un giorno di festa. E anche se il pubblico a volte applaudiva come di fronte ai migliori spettacoli, era venuto per me il tempo di stare in silenzio. L’ho fatto non tanto per evitare di arrabbiarmi, ma per preservare la cosa più importante che condividevo con quello che resta di un popolo orgoglioso. Il sapore dei ricordi».

«E di che ricordi parli? Qui purtroppo nessuno racconta, sono circondato dal tuo silenzio e poi se qualcuno per sbaglio mi rivolge la parola da lontano la domenica, sono solo insulti. Pare che per colpa mia abbiano rovinato lo stadio e il campo da gioco, pare che io sia il simbolo della cattiva gestione di questa città. Ma io non ne so nulla, mi hanno piazzato qui e vorrei capire che mi succede intorno e magari rendermi utile. A me piace il calcio e sono felice di cantare con gli altri la domenica. Vecchio mio, quei ragazzi giocano davvero bene. Stanno stracciando tanti record. Forse resteranno negli annali. Perché non guardiamo le partite insieme?».

«Non importa. In questa città per troppo tempo gli imbecilli hanno fatto da padroni credendosi furbi. Quanto più uno è idiota, tanto più il potere spicciolo sulla vita delle persone lo fa sentire orgoglioso di sé. La gente comune alla fine si adagia, e pur se governata da imbecilli, finisce per divenire schiava e si contenta di non dover pensare. Tu sei stato costruito qui per risolvere i problemi dello stadio, in realtà sei nato da un progetto dispendioso e sbagliato, non è colpa tua, ma è bene che tu ne sia consapevole. Mi sembri un ragazzo sveglio e onesto, conoscere le tue origini ti aiuterà ad accostarti a questo strano popolo. Sei giovane, forse ce la puoi fare. Io ormai vivo solo di ricordi ed è per questo che sono diventato così triste e solitario e non ti ho mai rivolto la parola. Una volta non ero così. Mi piaceva raccontare le gesta della mia squadra anche quando le cose andavano male».

«Non essere duro con te stesso, e poi ti ho visto l’altro giorno mentre sbirciavi durante la partita, so che alla fine non puoi fare a meno di questa squadra, e soprattutto, non puoi fare a meno della tua gente. Mi piacerebbe solo che mi aiutassi piano piano a capire perché questa squadra è così importante per tutti voi, a gustare aneddoti ed emozioni di un calcio che non c’è più senza perdere di vista il presente. Hai un legame con questa gente, un legame che negli anni di delusione si è paradossalmente rinsaldato. E poi hai un debito verso di me. Solo tu puoi aiutarmi a capire cosa significa stare qui dentro. Conoscere la storia porta a un più immediato possesso della realtà, una capacità di immergersi nel gusto originario delle cose, una conoscenza che ovviamente manca ai giovani come me».

E così dicendo i due si misero a guardare il vecchio militare nella sua interezza mentre una musica soffusa e intensa risuonava da una casa vicina. Una casa abitata da sognatori, artisti, pazzi e criminali. Quella musica rivelava al giovane un passato che fino a quel momento aveva ignorato, commuovendolo per gioie che non aveva mai assaporato e per dolori che non aveva mai sopportato. Come se quella musica potesse riportare in vita le storie dei campioni e dei tifosi del passato, per renderle più forti della morte e dell’oblio. In fondo ce lo aveva insegnato el gordo Soriano, sono tutte così le storie del calcio: risate e pianti, pene ed esaltazioni.

Emanuele Ferragina

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8 Commenti

  • Per mantenere l’attuale stato di fatto non c’è bisogno di scomodare la famiglia Noto. Se volete che lo stadio resti così, potete tranquillamente richiamare il muratore di cuneo o quell’altro presidente che si presentava alle conferenze stampa in canottiera. Fondate pure una bella tribuna Gianna e affidiamoci a una gestione spartana. Il troppo romanticismo è la rovina del Catanzaro e la fortuna dei paninari. Gli interessi di pochi purtroppo impediscono alla piazza il salto di qualità. Stadio nuovo e subito prima che sia troppo tardi.

  • Il problema che nessuno riesce a capire, è che siamo monchi di servizi attorno allo stadio.
    Lo stadio va bene così com’è..

    Lasciamo un parcheggio (campo scuola), dove starebbero tranquille 500 macchine, alla tifoseria ospite, che si presenta con sole 10 auto.

    Per raggiungere i distinti, bisogna farsi una scampagnata

    Vengono rifatte le panchine, e l’acqua ormai non defluendo più, riduce la fascia in un pantano, poi ci si mette pure la palazzina a fare ombra a peggiorare la situazione.

    Tutti questi fattori, portano almeno 5 mila persone a non venire allo stadio..

  • Purtroppo la palazzina è stata progettata male, ma alla fine ospita tri una stampa e altri box che potrà nos erbire j sedie A. Ombre? Il sole ca da est a ovest e l erba on ne risente. E sempre illuminata. Anche il famoso Dallara della più civile Bologna ha la torre maratona e nessuno si lamenta dell ombra. Sui parcheggi ti do ragione. Lontani le mani dal eravolo

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