Catanzaro Night News

Un lanciamissili per eliminare il magistrato Marisa Manzini …

Dopo sei anni di impegno alla Distrettuale l’improvviso passaggio alla Procura generale
 Un attentato contro il magistrato della Dda di Catanzaro Marisa Manzini. Il piano prevedeva l’utilizzo di un lanciamissili, una vera e propria azione da guerriglia per eliminare il magistrato che per sei anni ha indagato a tutto campo contro le cosche della ‘ndrangheta vibonese. Le rivelazioni shock sono state rese ieri nel corso del processo Genesi dal collaboratore di giustizia Gerardo D’Urzo di Sant’Onofrio, già condannato all’ergastolo per la strage dell’Epifania.

Secondo quanto riferito dal pentito, collegato con l’aula del Tribunale di Vibo Valentia in video conferenza, la ‘ndrangheta voleva uccidere il pm Marisa Manzini, che da tre mesi ha lasciato la Distrettuale, passando alla Procura generale. Il piano, secondo quanto emerso, doveva scattare nel 2007 azionando un lanciamissili.

In particolare, secondo il pentito, a tentare di pianificare l’azione di guerriglia per far saltare il magistrato sarebbe stato Luigi Mancuso, che seppur detenuto in regime di 41 bis, avrebbe chiesto il lanciamissili ad Antonio Pesce di Rosarno.

Il progetto stragista sarebbe stato rivelato cinque mesi fa a D’Urzo dal boss Vittorio Ierinò anche lui collaboratore di giustizia, che nel 2007 – secondo quanto dichiarato – era detenuto a Secondigliano con Girolamo Molè di Gioia Tauro, uno dei Gallico e lo stesso Pesce.

D’Urzo, rispondendo alle domande del pm Giampaolo Boninsegna, ha quindi rivelato che i Mancuso in quell’anno avrebbero seguito ogni minimo spostamento della Manzini come se da un momento all’altro il piano dovesse scattare.

Una vicenda, che secondo quanto è trapelato, è stata già segnalata alla Procura della Repubblica di Salerno, competente per territorio ad indagare sulle vicende che coinvolgono i magistrati che operano nel distretto della Corte d’Appello di Catanzaro. E le rivelazioni del pentito D’Urzo riaprono in termini ancora allarmati il capitolo della scarsa tutela nei confronti dei magistrati di “prima linea”, impegnati nella lotta alla criminalità organizzata.

L’ex pm della Dda al momento di passare alla Procura generale, non aveva in nessun modo fatto trapelare quanto si è appreso ieri da parte del collaboratore di giustizia, anche se il magistrato molto probabilmente era stato già informato da chi di competenza. E non è escluso che siano state proprio queste vicende a consigliare Marisa Manzini a gettare la spugna e a cambiare aria.

Una sorta di resa di fronte alla quale lo Stato ne è uscito ancora più debole. All’ex pm della Dda sono legate tutte le operazioni sferrate negli ultimi anni contro le cosche della ‘ndrangheta vibonese, a cominciare da Dinasty Affari di famiglia, con sentenze divenute definitive che certificano per la prima volta l’associazione mafiosa nei confronti del clan Mancuso di Limbadi, conosciuto in tutto il territorio nazionale e internazionale per la sua potenzialità economica e militare.

Altra inchiesta scottante firmata da Marisa Manzini è stata quella portata avanti contro i Fiarè di San Gregorio D’Ippona, senza dimenticare altri pesanti colpi assestati ai La Rosa di Tropea, ai Mamone di Fabrizia con l’operazione Domino, ai Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia attraverso l’inchiesta New Sunrise ed ai Bonavota di Sant’Onofrio con Uova del Drago. Un lavoro imponente che aveva portato il magistrato a sfondare le porte di santuari che nessuno aveva mai osato toccare.

E alla luce di quanto dichiarato dal pentito D’Urzo si può cominciare ad intuire perché un magistrato della passione investigativa di Marisa Manzini abbia deciso improvvisamente, e dopo sei anni di Dda, di lasciare l’antimafia per passare ad altro incarico. È uscita di scena in punta di piedi, in fondo come era arrivata, salvo poi farsi conoscere, e fin troppo bene, in pochi mesi.

Donna coraggiosa, trasparente, ha sempre creduto nella giustizia e nella forza della denuncia anche in un territorio dove le cosche per decenni hanno assunto un ruolo centrale nelle dinamiche criminali, non solo favorite da strutture a carattere familiare (tipiche della ‘ndrangheta) ma anche da una serie di relazioni sociali, al punto da penetrare con facilità negli ambienti istituzionali e politici.

Ma le rivelazioni del pentito Gerardo D’Urzo non hanno solo riguardato il magistrato antimafia bensì i collegamenti dei vari clan con i Mancuso di Limbadi ed il tentativo anche da parte di ex magistrati vibonesi di cercare di discreditare i collaboratori di giustizia, attraverso l’utilizzo di falsi pentiti.

Autore

Umberto Galati

Scrivi un commento